Malgrado la foto di copertina conceda forse qualcosa all’immagine che di Chavez ci danno in prevalenza i media nazionali ed internazionali, non solo di orientamento conservatore, ossia quella di un novello “lider maximo” populista con vocazione ed ambizioni autoritarie e atteggiamenti istrionici da “macho” latinoamericano, in realtà il libro di Dario Azzellini squarcia proprio il velo delle letture superficiali, di comodo e magari ideologiche della cosiddetta “rivoluzione bolivariana” e del suo principale protagonista permettendoci di penetrare nel profondo di un’esperienza politica e sociale di grande interesse e rilievo anche storico.
L’analisi di Azzellini, attenta e documentata, ci permette di capire perché un paese che per noi comuni cittadini europei esisteva solo nelle offerte delle agenzie turistiche e in qualche pubblicità a base di rum sesso e malavita, ora è al centro di un processo che investe tutto il subcontinente latino americano e ne ridefinisce il carattere, la forma, le relazioni interne e il peso economico, politico e strategico. L’autore pone con forza l’accento sul carattere di “processo” della trasformazione in atto in Venezuela, volendo indicare con questa parola che dietro alla figura di Hugo Chavez vi è un movimento molto esteso e diversificato in cui si esprimono per la prima volta soggetti e bisogni sociali che il modello di sviluppo precedente si è limitato a reprimere od ignorare. Il Venezuela è ricchissimo ma la gente è povera, ti dice qualunque venezuelano che capita di incontrare.
Ma perché? E soprattutto, come fare a cambiare rotta una buona volta? Chavez, uomo del popolo, militare progressista come per fortuna ce n’è molti in Venezuela, per giunta con un golpe fallito alle spalle, per una di quelle congiunture apparentemente inspiegabili a cui diamo il nome di carisma, ha saputo ascoltare questi bisogni, interpretarli e dare loro consapevolezza, visione strategica e attuazione politica. Nel 1999, anno della conquista della presidenza, il modello venezuelano (petrolio e multinazionali straniere, latifondo ed oligarchia in un contesto di corruzione e violenza) era già in crisi profonda. Ma nessuno avrebbe scommesso che quell’outsider venuto dal nulla avrebbe travolto i partiti tradizionali, Ad e Copei da decenni alternati al potere, e dato il via ad una vera e propria rivoluzione. Perché, anche se Azzellini lascia al lettore la risposta all’interrogativo, non vi è dubbio che di questo si tratti. Seppure, come sottolinea l’autore, sono in molti coloro che non vi trovano la realizzazione delle proprie proiezioni o desideri. Rivoluzione. Pacifica, come la richiede il XXI secolo, puntualmente confermata in dieci tornate elettorali consecutive e con l’imprimatur di tutti gli osservatori. Ma rivoluzione: non vi è un solo aspetto della società e della politica che non ne sia coinvolto. Salute e educazione gratuite come priorità, case popolari dignitose al posto di favelas, beni di largo consumo calmierati, esproprio di terre improduttive e autogestione di fabbriche abbandonate dai proprietari. Una politica estera autonoma ed indipendente, la consapevolezza che la posta in gioco è enorme e la partita si vince o si perde assieme agli altri paesi che la divisione internazionale del lavoro (ora si chiama globalizzazione) assegna strutturalmente al sottosviluppo. Una nuova costituzione che rifacendosi al mito di Bolìvar, pone al centro la democrazia partecipativa e il ruolo di protagonista della popolazione. E un consenso di massa che anche nei momenti critici non è mai venuto meno. Tutto questo è possibile solo per il petrolio, obiettano gli scettici. Ma è proprio questo il merito storico di Chavez e di questo “processo”! Le risorse del paese, per decenni espropriate dalle multinazionali straniere e dalle varie oligarchie al governo ora sono state riportate sotto il controllo pubblico e destinate allo sviluppo integrale della popolazione e anche alla creazione di un nuovo modello di relazioni internazionali. Tutte luci e niente ombre? No. Azzellini, oltre che delle insufficienze in tema ambientale e dei diritti civili, ci avverte dell’aspetto più inquietante: la figura di Chavez, al di là delle sue stesse intenzioni, “sta assumendo contorni da Caudillo”. Paradossalmente, forse proprio l’attuale, inedita debolezza di Washington in America latina, l’insipienza dell’opposizione interna e la tendenza dello stesso movimento “bolivariano”, pur vitale ed articolato, ad assumere Chavez come punto di riferimento unico ed insostituibile, oltre ad aver creato il terreno per una rottura profonda degli equilibri precedenti, possono diventare un pericolo e contenere il germe di una deriva.
A questo proposito ci si permetta esprimere l’impressione che avrebbe giovato anche ospitare, nel capitolo delle testimonianze, qualche parere autorevole della parte avversa. Certo non di esponenti di quell’oligarchia responsabile dell’asservimento agli interessi stranieri e della miseria che prima di Chavez colpiva l’80% della popolazione. Ma di esponenti autorevoli di quel 40% dei venezuelani che pur non votando per Chavez potrebbero contribuire con una critica libera ad annoverare strutturalmente l’esperienza “bolivariana” del Venezuela di Chavez tra i processi di sviluppo positivi di cui l’America latina ha assoluto bisogno.
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