Tratto da El negocio de la guerra. Nuevos mercenarios y terrorismo de Estado. Caracas: Monte Àvila Editores, 2009.

Venezuela: paramilitarismo e ‘contra’ in costruzione

Il processo bolivariano in Venezuela è nel mirino degli Stati Uniti, non solo per la grande ricchezza di risorse del paese (principalmente petrolio, ma anche gas, acqua, alluminio, ferro, oro, biodiversità e altro ancora) ma anche per il ruolo centrale che svolge nell’integrazione continentale che si sta sviluppando e la possibilità di cambiamenti fondamentali che la politica estera venezuelana apre anche per altri paesi. Non c’è dubbio che gli Stati Uniti siano disposti a far crollare il processo bolivariano con qualsiasi mezzo. E come si è visto in passato questo significa che non è escluso il ricorso all’opzione militare. Tuttavia, la situazione politica del continente, la guerra in Iraq e le caratteristiche del territorio venezuelano, come anche l’appoggio popolare di cui gode il processo bolivariano, rendono improbabile un intervento militare diretto nel medio periodo. Ma questa non è neppure necessaria. Ci sono altre strategie. Fra queste, il tentativo di provocare una reazione alle frequenti incursioni colombiane nel Venezuela e creare così una giustificazione per appoggiare la Colombia in una guerra contro il Venezuela. Oppure, e questa è l’opzione più promettente, costruire una forza controrivoluzionaria simile alla Contra attiva in Nicaragua negli anni ’80, a partire dal paramilitarismo. Questa manovra si porta a compimento con la complicità e l’appoggio di istituzioni governative colombiane.

Questo non significa che non siano applicate tutte le altre strategie possibili per debilitare il processo bolivariano, dal disapprovvigionamento intenzionale, passando per il comprarsi i pubblici ufficiali, l’appoggio all’opposizione ecc. Qui, ad ogni modo, si tratterà dei due aspetti della privatizzazione della guerra: il paramilitarismo e le compagnie militari e di sicurezza privata (CMP e CSP).

In Venezuela operano varie CSP e CMP. Per quanto riguarda le compagnie di sicurezza privata, negli ultimi anni si è avuta la partecipazione di contrattisti della sicurezza in azioni di sabotaggio contro la PDVSA e in altri contesti che consentivano la destabilizzazione. Le attività delle CMP in Venezuela a loro volta si potrebbero descrivere come guerra tecnologica, come nel caso di INTESA (Informática, Negocios y Tecnología, S.A.) durante il colpo di stato petrolifero del 2002-2003.

Nel caso del paramilitarismo colombiano si può osservare una presenza forte in Venezuela, specialmente nelle regioni dal confine con la Colombia. Negli stati Táchira, Apure, Barinas e Zulia il paramilitarismo colombiano e il narcotraffico (che molte volte coincidono) hanno grandi interessi economici e contano sulla collaborazione di sindaci, tanto di opposizione quanto bolivariani, i paramilitari gestiscono il narcotraffico, estorcono il pizzo ai commercianti, controllano il contrabbando di benzina e alimenti verso la Colombia e contano in alcuni casi sulla collaborazione di effettivi delle Forze Armate Bolivariane e della Guardia Nazionale (GN). Sono presenti su quasi tutto il territorio nazionale con una forte tendenza all’aumento specialmente nel Sucre, Delta Amarcuro, Amazonas e Caracas. Sono dediti anche all’estorsione, ai sequestri e al riciclaggio di denaro. Sono appoggiati dagli allevatori e mettono in atto intimidazioni; eseguono omicidi selettivi di contadini e quadri rivoluzionari. A Caracas hanno cominciato a penetrare nei quartieri e a regalare o vendere a prezzi molto bassi cocaina a gruppi di piccoli criminali per stabilire buoni contatti e cercano di incidere su settori vulnerabili della popolazione venezuelana attraverso gruppi di colombiani che finanziano e in parte proteggono frazioni dell’economia informale, in particolare nei settori dei buhoneros (venditori ambulanti) e delle imprese di taxi, con lo scopo di costruire un apparato di intelligence nel seno della società venezuelana. Allo stesso tempo stanno gradualmente soppiantando la delinquenza locale in attività come il prestito ad usura, il narcotraffico, il commercio di esseri umani, e il gioco d’azzardo illegale.

Il 25 giugno 2008 Miguel Angel Durán e Julio César Durán, membri della direzione del Fronte degli Ex-Lavoratori della Coca Cola dello stato Portuguesa, e un bambino di dieci anni che li accompagnava, furono brutalmente assassinati con dieci colpi di arma da fuoco nella macchina in cui viaggiavano. Gli assassini si avvicinarono in un’altra macchina. Il Fronte degli Ex-Lavoratori mantiene da anni un conflitto sindacale con l’impresa. Anche se non si riuscì a far luce sull’omicidio, i sindacalisti temono che la Coca Cola Venezuela potrebbe essere passata alla stessa linea di condotta della Coca Cola Colombia, dove le sue filiali mantengono una stretta relazione con paramilitari, che hanno assassinato vari sindacalisti, preferibilmente nel contesto di lotte sindacali.

Il paramilitarismo non è un fenomeno solo militare o criminale e come tale non si può combattere solo con Esercito e polizia, sebbene questo sia un aspetto assolutamente necessario della lotta. Il paramilitarismo è anche un fenomeno economico, sociale e culturale, che trasporta e impone valori, occupa spazi sociali, dà lavoro e si manifesta in tutti i contesti sociali immaginabili.

Trattandosi di un fenomeno recente e poco studiato in Venezuela sembra importante avanzare alcune ipotesi sulle sue strategie e il loro svolgimento.

La strategia della Contra

La strategia della Contra non guarda a una vittoria militare, ma piuttosto a una guerra di logoramento, colpendo e sabotando le infrastrutture, la produzione e tutto ciò che può dare l’idea di un’altra vita, al di là della logica capitalista. Così come nella guerra della Contra finanziata dagli Stati Uniti contro il Nicaragua sandinista, la Contra evita scontri diretti con forze militari regolari, ma attacca la base dei processi di trasformazione e ostacola i cambiamenti. In Nicaragua questa strategia ha avuto successo, il paese è stato distrutto, messo al muro per via dei costi militari e umani necessari per respingere gli attacchi controrivoluzionari. E mentre le risorse per mantenere i servizi sociali e andare avanti con la trasformazione della società furono polverizzate dalla guerra, gli Stati Uniti portarono il popolo del Nicaragua a dover scegliere tra il progetto sandinista/socialista e la guerra da una parte, e il capitalismo e la pace dall’altra. Tuttavia il Venezuela non è il Nicaragua, ed ha risorse molto maggiori. Inoltre in Venezuela non si è ancora ottenuta una condizione necessaria a creare le condizioni per una guerra civile: mettere i poveri contro altri poveri. Storicamente le classi medie e alte, sebbene si oppongano a un progetto di mutamento sociale e siano disposte a finanziare qualsiasi tentativo di azzerarlo, non rischiano le loro vite e la loro proprietà combattendo in prima persona. Questo ruolo devono assumerlo i poveri.

Così il paramilitarismo in Venezuela non corrisponde a un semplice fenomeno criminale, come è stato presentato dalla maggioranza dei media e come è ancora inteso da molti in Venezuela. Pertanto bisogna identificare la strategia del paramilitarismo e non vederlo come l’accumulazione di tanti fatti isolati.

Il senatore colombiano Gustavo Petro dichiarò nel febbraio del 2003: “Gli omicidi e l’orrore in Venezuela sono dovuti ai paramilitari che stanno controllando la frontiera colombiano-venezuelana e penetrano sempre più profondamente in quel paese. (… ) La tattica paramilitare è di agglutinare forze, concentrare uomini e risorse per combattere la guerra del terrore quando una potente frangia estrema dell’opposizione e alcuni imprenditori venezuelani daranno loro l’ordine di fare la guerra all’interno del Venezuela, alla maniera della Contra nicaraguense”.

Nel maggio 2006 il Fronte Nazionale Contadino Ezequiel Zamora (FNCEZ) ha denunciato pubblicamente che la penetrazione paramilitare alla frontiera, negli altri stati e nella capitale della Repubblica, è parte attiva dei piani che dirige ed esegue contro la Rivoluzione bolivariana e il suo popolo l’impero nordamericano, per mezzo del suo governo, il comando Sur e i settori ultrareazionari di Colombia (AUC) e Venezuela. L’obiettivo è creare una zona di controllo o testa di ponte sull’asse che passa per gli stati Zulia, Táchira, Barinas, Apure Amazonas, in una prima fase.

Vediamo allora quali sarebbero dal punto di vista strategico le zone del Venezuela importanti per una guerra controrivoluzionaria. Da un lato la cordigliera delle Ande, che rappresenta un corridoio per muovere armi e combattenti (e droga) dalla Colombia verso la zona più abitata del Venezuela, dove sono concentrate gran parte delle industrie produttive. Isolando geograficamente, inoltre, la zona petrolifera del Zulia e avendo ampio accesso ai Llanos. Da lì, con mercenari colombiani congedati della AUC, sosterrebbero azioni permanenti di sabotaggio di infrastrutture strategiche come ad esempio campi di estrazione e raffinerie petrolifere, oleodotti, acquedotti, e inoltre omicidi di dirigenti del movimento popolare, generando così un’immagine di destabilizzazione e ingovernabilità agli occhi del mondo, lasciando vedere la supposta esistenza di una resistenza armata al regime, cosa che potrebbe legittimare una forza di intervento in nome della pacificazione e della sicurezza regionale.

L’altra zona strategica è il Delta Amarcuro. Grazie alle sue caratteristiche geografiche, è l’ideale per l’attuazione di una Contra (ed è in effetti molto simile alla costa atlantica del Nicaragua). Non è facile penetrare militarmente con un esercito convenzionale nel delta, si dispone di un rapido collegamento con Trinidad e Tobago per essere riforniti dall’estero, e per via fluviale si ha accesso alla seconda più importante zona industriale del Venezuela, le industrie di base dello stato Bolívar. In caso di guerra le forze militari venezuelane sarebbero obbligate a uno spiegamento di forze in due zone molto distanti, e allo stesso tempo non potrebbero trascurare neanche la frontiera sud con la Colombia.

Lavoratori dei trasporti e tassisti

Una strategia di penetrazione dalle implicazioni chiaramente controrivoluzionarie che può essere osservata è quella di assumere il controllo di imprese di trasporti e taxi, come sta accadendo in varie parti del paese. Allo stesso tempo si osserva un aumento degli omicidi e degli attacchi ad autisti e tassisti su tutto il territorio nazionale, nel tentativo di sollevarli contro il governo. La destra ha raggiunto in parte il suo obiettivo, a partire dalla seconda metà del 2007 aumentano le proteste nel settore dei trasporti, da Merida fino a Caracas. In questo contesto è importante notare che i taxi e i trasporti sono un settore strategico per due motivi:

a) possono paralizzare un paese ed essere una pedina controrivoluzionaria fondamentale. Il golpe in Cile si fece a partire da un coinvolgimento dei sindacati dei lavoratori del trasporto. Se il golpe petrolifero non ha avuto successo in Venezuela, una delle cause principali fu che i lavoratori dei trasporti non stavano con i golpisti.

b) I tassisti e gli autisti formano la base di qualsiasi rete di intelligence: sono in giro tutto il giorno, vedono e ascoltano tutto, nessuno fa caso a loro ed hanno radio per tenersi in contatto fra loro. Non a caso, dopo la rivoluzione sandinista del 1979, i sandinisti fondarono cooperative di tassisti; la prima cooperativa che lo EZLN costruì fuori dalle sue comunità fu nel settore dei trasporti; e il Plan Colombia inizio con il finanziamento da parte del governo di centinaia di imprese e cooperative di tassisti nel Putumayo e nelle città. Anche in Venezuela prima era molto comune che ai pensionati della Guardia Nacional si desse un taxi perché facessero parte della rete di intelligence.

In Venezuela il paramilitarismo sta seguendo quella strategia: secondo informatori locali, a San Cristóbal gran parte dei taxi sono sotto il controllo dei paramilitari. Secondo informazioni del FNCEZ l’80% dei tassisti nello stato Barinas appartiene a una rete di intelligence paramilitare. Alcuni stanno nelle cooperative, altri sono privati che possiedono auto con i vetri oscurati. Anche a Caracas stanno penetrando nel settore dei trasporti. Si accaparrano linee e autisti di minibus e formano cooperative di taxi.

Portavoce di consigli comunali hanno dato notizia, nel 2008, di riunioni di ciò che definiscono una mafia dei minibus con dirigenti di Acción Democrática e di Un Nuevo Tiempo a Maracaibo e Barquisimeto. Lavoratori del trasporto hanno denunciato che varie imprese dei trasporti sarebbero coinvolte, in concerto con l’opposizione, nei preparativi di uno sciopero nazionale nel contesto di un piano di destabilizzazione contro il governo. Secondo un’allerta lanciata dallo stesso Presidente Chávez alla fine del maggio 2008 molte delle mafie del trasporto hanno rapporti stretti o appartengono a settori del mondo dell’impresa che ebbero un ruolo attivo nel golpe del 2002. I lavoratori dei trasporti starebbero partecipando alla preparazione di un piano di destabilizzazione che dovrebbe combinare disapprovvigionamento, azioni nelle strade e un’eventuale partecipazione di settori militari per far cadere il governo.

Paramilitarismo in Venezuela: precedenti, azioni e contatti internazionali

La prima volta che si verifica ufficialmente la presenza di paramilitari colombiani che operano in Venezuela è nel dicembre 1997. Sette paramilitari sono arrestati nello stato Apure, sospettati di aver partecipato a dei sequestri. Gli trovano armi da guerra, mappe dettagliate della zona e una lista di allevatori e proprietari terrieri collaborazionisti. Gli arrestati dichiarano di essere stati ingaggiati dal Generale Enrique Medina Gómez della GN venezuelana. Hanno ricevuto 75 milioni di pesos per portare a termine azioni in Venezuela. Una settimana dopo i paramilitari furono liberati per ordine dello stesso generale e ricevettero perfino salvacondotti firmati da lui. Nel 2002 Medina Gómez partecipò al colpo di stato e alle attività dell’ultradestra golpista a Piazza Altamira.

Carlos Castaño dichiarò nel 1997 di essersi riunito con 140 imprenditori, allevatori e proprietari terrieri degli stati Barinas, Táchira e Zulia con l’obiettivo di costruire una struttura paramilitare in quegli stati.9

Il 15 di luglio del 2000 un gruppo di una dozzina di persone pesantemente armate sequestrò nello stato Carabobo l’imprenditore Richard Boulton. Le indagini portarono a diverse perquisizioni e arresti di paramilitari colombiani a San Cristóbal, Maracay e Valencia. Tuttavia Richard Boulton non fu liberato fino al 15 luglio 2002, per la mediazione di Carlos Castaño, il quale rivelò che i sequestratori appartenevano a una presunta fazione dissidente delle AUC (Autodefensas Unidas de Colombia). Ovviamente non fu possibile confermarlo, cosicché potrebbe essere stata anche una manovra delle AUC per non essere collegate direttamente al sequestro, che sollevò interesse a livello internazionale.

Il 26 giugno 2002 vari media diffusero un video in cui delle presunte Autodefensas Unidas de Venezuela dichiararono di operare negli stati Táchira, Apure e Zulia. Un certo comandante Antonio disse che contavano 2.200 uomini armati, dichiarò il presidente Hugo Chávez obiettivo militare e annunciò che avrebbero trasformato il panorama politico del Venezuela.
Alcuni giorni dopo Castaño ammise: “Abbiamo gente che impartisce istruzioni in territorio venezuelano. Manteniamo i contatti. È un processo in gestazione”.

Tuttavia nel 2003 le AUC svilupparono varie incursioni militari e attacchi al territorio venezuelano dalla Colombia. Il 19 di marzo circa 500 paramilitari attraversarono il confine naturale del Río de Oro (Sierra de Perijá, Zulia) con uniformi nuove, armi da guerra e moderne ricetrasmittenti. Assaltarono e saccheggiarono il villaggio venezuelano di La Escuelita, portando insegne delle truppe colombiane di contro insurrezione, della ELN e della GN venezuelana.

Aprirono il fuoco contro elicotteri venezuelani per evitare lo sbarco di truppe. Un bombardamento della aviazione venezuelana fece 40 morti fra i loro ranghi, e fuggirono in territorio colombiano portandosi dietro i morti. Il 28 e il 30 dello stesso mese attaccarono di nuovo la stessa zona del Río de Oro, per poi ritirarsi ancora una volta a causa dei bombardamenti e pattugliamenti delle Forze Armate del Venezuela. Nei tre attacchi assassinarono almeno nove indigeni, bruciarono e saccheggiarono un pronto soccorso, la farmacia, una cooperativa alimentare e un cinema; massacrarono gli animali domestici della popolazione contadina indigena e rubarono le loro barche a motore, che usano per lavorare e muoversi nella zona. Ci sono indizi del fatto che negli attacchi ci fu un appoggio da parte di strutture dell’esercito colombiano. Il 4 settembre l’esercito venezuelano fu attaccato da paramilitari colombiani nella città di Ayacucho (stato Táchira), a sei chilometri dalla frontiera. Il 5 settembre morirono tre paramilitari colombiani e un soldato venezuelano rimase gravemente ferito in uno scontro nella zona di frontiera del Táchira.

Dopo il 2003 seguirono scontri sporadici, ma comunque di minore entità, e non come conseguenza delle operazioni difensive della AUC contro l’esercito venezuelano. La strategia si concentrò piuttosto sul costruire e consolidare strutture paramilitari all’interno del Venezuela senza richiamare troppo l’attenzione.

Un personaggio importante per le trame controrivoluzionarie e i collegamenti con l’AUC fu il generale della GN Felipe Rodríguez, alias El Cuervo. Rodríguez ebbe un ruolo centrale nel golpe del 2002, poi fu capo della sicurezza di Plaza Francia ad Altamira (Caracas) durante l’occupazione della stessa da parte di militari ed ex militari golpisti. Poi fu latitante, ricercato come partecipante al golpe e presunto autore di uno degli attentati esplosivi contro le ambasciate di Colombia e Spagna nel 2003. Secondo informazioni di intelligence, all’inizio del marzo 2004 riuscì a sfuggire a un’avaria su un elicottero nel Dipartimento del Cesar. L’elicottero apparteneva all’AUC e Rodríguez si era incontrato con l’allora capo militare dell’AUC, Salvatore Mancuso, per accordarsi sull’acquisto di armi e l’addestramento per attacchi terroristi in Venezuela. Rodríguez fu catturato, pesantemente armato, il 5 febbraio 2005 a Caracas e fu condannato nell’aprile del 2008 a 10 anni e 6 mesi di reclusione, per la sua partecipazione agli attentati contro le ambasciate.

I controrivoluzionari venezuelani hanno anche legami con gli ambienti terroristi cubani negli Stati Uniti, dove hanno perfino la possibilità di addestrarli tranquillamente alla lotta terrorista. Il Wall Street Journal, in un suo editoriale del 29 gennaio 2003, rende conto di alcuni campi di addestramento di terroristi in Florida. Secondo il giornali, lì si addestrava un’alleanza paramilitare composta dalla Junta Patriótica de Venezuela (JPV), capeggiata dal capitano della GN Luis Eduardo García, e i comandi F-4 del cubano Rodolfo Frómeta. Il nome JPV è stato scelto come chiara allusione alla Junta Patriótica de Cuba, un gruppo di esiliati cubani di estrema destra con sede a Caracas, che durante il golpe del 2002 aveva partecipato agli attacchi all’ambasciata cubana. García, che aveva anche lui partecipato al golpe del 2002, ammise di aver addestrato 50 membri dei Comandi F-4. I due gruppi, secondi lui, combinano le loro esperienze militari e si scambiano informazioni di intelligence. García e i suoi si preparano a una guerra. Non ci sono dubbi su chi siano i nemici. In un accordo firmato nel 2002 per formare un’alleanza civico-militare latinoamericana fra la JPV e gli F-4 si annunciò la resistenza contro i nuovi regimi comunisti in America Latina, indicando Brasile, Cuba e Venezuela. Le richieste di spiegazioni del governo venezuelano a quello di Washington rimasero senza risposta. Solo l’allora ambasciatore degli Stati Uniti in Venezuela, Charles S. Shapiro, dichiarò il 30 settembre che si stava indagando sulla faccenda e che se c’era da accusare qualcuno, il governo degli Stati Uniti avrebbe saputo cosa fare, aggiungendo en passant che alcuni venezuelani avevano ricevuto formazione militare negli Stati Uniti.

Il caso più spettacolare di infiltrazione militare a tutt’oggi fu l’arresto di quasi 130 paramilitari colombiani nella tenuta Daktari a Baruta, vicino Caracas, nel maggio 2004. Le indagini della DISIP (Sistema di informazione per la sicurezza dello Stato) verificarono la partecipazione di numerosi militari. Secondo un agente della DISIP infiltrato in un incontro al Country Club di Caracas il 23 aprile 2004, al quale parteciparono una decina di militari e Zingg, si espresse l’opinione che qualsiasi azione a Miraflores che non terminasse con la morte di Chávez sarebbe stata da considerare un fiasco. Nello stesso incontro si parlò anche di eseguire attentati contro due colonnelli chavisti della GN per la loro leadership, contro alcuni obiettivi governativi e gruppi rivoluzionari del 23 gennaio. Si parlò anche di realizzare il golpe usando la Polizia Metropolitana e settori dell’esercito. Un colonnello dell’aviazione propose di bombardare con un F-16 Aló Presidente e, davanti alle obiezioni di alcuni dei presenti rispetto alle vittime civili, il colonnello disse che era parte del sacrificio che bisognava fare per togliere il potere a Chávez. Il decollo dell’F-16, ad ogni modo, avrebbe dato il segnale per l’inizio dell’attuazione dei piani. I paramilitari, vestiti con uniformi dell’esercito venezuelano, avrebbero assediato il comando mobile della Guardia Nacional e attaccato Miraflores. I comandanti paramilitari ricevettero due milioni di dollari per sviluppare l’operazione.

La tenuta in cui si incontrarono i paramilitari apparteneva a Roberto Alonso, un esiliato cubano oggi profugo in Florido, e i paramilitari avevano uniformi delle Forze Armate del Venezuela. Tra gli arrestati c’era anche il capo del gruppo, José Ernesto Ayala Amado, alias Comandante Lucas, del Blocco Norte de Santander dell’AUC. Secondo le sue dichiarazioni, era entrato nel paese a metà aprile, seguendo le istruzioni dell’imprenditore venezuelano Gustavo Zingg Machado (già Gustavo Quintero Machado), Alonso, e un militare. Al momento dell’arresto Lucas aveva un gilet militare e una pistola, che in un primo momento non volle consegnare perché si illudeva che tutto si sarebbe risolto con una telefonata. Durante la detenzione provò a chiamare Zingg sul cellulare, dopo che avevano parlato al telefono già 73 volte quel giorno. Zingg a sua volta parlò 31 volte con il personaggio televisivo Orlando Urdaneta. Lucas rilasciò dichiarazioni sulla partecipazione di politici di opposizione dello stato Zulia, federazioni di allevatori, la ONIDEX di San Antonio del Táchira (che concesse un permesso collettivo e mise a disposizione addirittura delle scorte per arrivare fino a Caracas), un effettivo della Guardia Nacional. Secondo le sue dichiarazioni, i paramilitari erano stati addestrati all’uso dei fucili FAL da poliziotti venezuelani e pianificavano un assalto per rubare una grande quantità di questi fucili usati dall’Esercito del Venezuela. Nel giudizio si è appurato che alcuni dei colombiani non erano paramilitari ed erano stati portati in Venezuela con l’inganno. Oltre a quelli già menzionati furono coinvolti, secondo la DISIP, Pedro Carmona Estanga, ex dirigente d’azienda e golpista autoproclamatosi presidente nell’aprile 2002, María Luisa de Choissone, direttrice esecutiva del Bloque de Prensa Venezolano (associazione di editori di quotidiani e periodici N.d.t.), Liliana Hernández, deputata di Primero justicia e Rafael Marín, ex segretario generale di Alianza Democrática, Ovidio Poggioli, ex direttore dell’aeroporto internazionale Simón Bolívar.

Contrabbando

Un grosso affare dei paramilitari colombiani nella zona di frontiera è già da molti anni il contrabbando di benzina dal Venezuela alla Colombia, dove la benzina costa circa 30 volte di più.

Il contrabbando è in gran parte sotto il controllo dei paramilitari, che la usano anche per la produzione di cocaina. Per ovvie ragioni, deve esserci collaborazione da parte di elementi della Guardia Nazionale e delle Forze Armate del Venezuela. Non si spiegano, altrimenti, le grandi quantità che passano inosservate la frontiera. Lo stesso vale per il contrabbando di alimenti, un altro affare redditizio nelle mani dei paramilitari. Alla fine del 2007 si poteva osservare in tutti i negozi della costa atlantica della Colombia una prevalenza degli alimenti di contrabbando venezuelani. Per alcuni di questi generi si verificavano nello stesso tempo situazioni di scarsità in Venezuela, o per meglio dire situazioni di forte speculazione, dato che se da un lato prodotti come il latte o lo zucchero erano temporaneamente irreperibili al prezzo regolato dallo stato, sul mercato illegale c’erano sempre tutti i prodotti, ovviamente con un sovrapprezzo enorme.

In molte zone di frontiera è comune che alcuni effettivi della Guardia Nazionale o dell’Esercito che si trovano nelle stazioni di servizio per controllare la vendita della benzina permettano di riempire anche dei barili intascando un sovrapprezzo. Secondo informazioni della popolazione locale in varie zone di frontiera sono anche effettivi della GN a dare libero passaggio ai contrabbandieri, limitandosi a certi giorni e certe ore per non dare troppo nell’occhio. Questa è anche una delle ragioni per cui ci sono state forti resistenze di diversi settori alla vendita di benzina da parte dei consigli comunali o delle comunità organizzate.

Un tenente dell’Esercito, che ha prestato servizio nel Teatro Operativo 1 (la zona di confine tra gli stati Barinas, Apure e Táchira), mi ha detto che in molti casi i militari che svolgevano un lavoro efficace e presentavano risultati venivano trasferiti dai loro superiori. Era successo anche a lui. Dopo aver scoperto l’esistenza di alcune rotte di contrabbando della benzina con la squadra della quale era al comando, e aver sequestrato 12.000 litri di benzina, fu premiato con un trasferimento a Caracas, nonostante lui avrebbe voluto continuare il lavoro in quella zona, avendo ormai acquisito conoscenza delle strutture del contrabbando.

Situazione carceraria

Le carceri venezuelane sono piene di paramilitari, eppure la maggior parte di loro non sono detenuti come paramilitari ma per crimini diversi. Il fatto di non essere classificati come paramilitari ha conseguenze per quanto riguarda il trattamento che ricevono, o per meglio dire il trattamento che ricevono non differisce da quello che ricevono altri prigionieri, la qual cosa favorisce l’azione dei paramilitari nelle carceri (imporre il loro controllo su parte della popolazione carceraria, reclutare nuovi seguaci fra i detenuti comuni, controllare certi affari nelle carceri, molto probabilmente – come avviene in tutto il mondo – con la collaborazione di una parte del personale carcerario). Una divisione sistematica di paramilitari, guerriglieri e prigionieri comuni in aree differenti del carcere si ha nella prigione di Santa Ana. La natura sempre più brutale degli omicidi interni potrebbe essere una conseguenza di questa massiccia presenza di paramilitari nelle carceri. Sono arrivate a essere comuni le mutilazioni delle braccia, gambe, teste, e tagliare a pezzi le vittime. Tuttavia ci sono anche testimoni che sostengono che il fenomeno non è nuovo, che già 15 anni fa c’erano omicidi di questo tipo nelle carceri venezuelane, e che l’aumento non è rilevante.

Penetrazione culturale

Non bisogna sottovalutare la penetrazione culturale, che prepara e rende fertile il terreno per la penetrazione paramilitare. Così si osserva che in gran parte delle zone di frontiera le bancarelle offrono e vendono in misura massiccia CD musicali di paramilitari, i cosiddetti “corridos proibiti”: musica con testi che fanno riferimenti lusinghieri al paramilitarismo. Alcuni ambulanti fanno anche da rete di intelligence. Qualcosa di simile succede con il commercio dei DVD masterizzati, una attività che i paramilitari hanno tolto ad altri colombiani e che oggi controllano in buona parte. Vari dei negozi semiclandestini che vendono CD e DVD masterizzati all’ingrosso nel centro di Caracas sono in mano a persone sospettate di collaborare con paramilitari, che a loro volta si relazionano con altri presunti collaboratori di paramilitari che nella zona del Silenzio comprano oro rotto e fanno prestiti.

Visto che questa attività non ha i margini di profitto delle altre attività a cui si dedicano i paramilitari, ma al contrario offre un margine di profitto minimo, come si potrebbe spiegare la penetrazione dei paramilitari in quel settore? Da un lato la rete di intelligence, dall’altro l’influenza culturale. A Caracas, dalla metà fino alla fine del 2005 ha avuto notevole diffusione un video che mostra dalla prospettiva dei paramilitari come presero Medellín; nel 2007/2008, in un momento di tensione con la Colombia e all’apice degli sforzi di Chávez per la liberazione di alcuni ostaggi delle FARC, l’unico video sulla Colombia che si trovava in misura massiccia sulle bancarelle degli ambulanti era un documentario di Radio Caracol Noticias (una rete mediatica colombiana dell’ultradestra uribista) sulla Colombia e il presunto conflitto in Colombia. Questo mentre in Venezuela circolavano dozzine di documentari che trattavano l’argomento da una prospettiva progressista.

Gli omicidi brutali nelle carceri vengono filmati con cellulari e girano sui telefonini degli studenti, degli adolescenti delle scuole e dei barrios. Insieme alla marea di DVD violentissimi, molto spesso fatti esclusivamente di immagini brutali (mutilazioni, omicidi ecc.) si tratta di un modo per abituare la popolazione a certi livelli di violenza. A Catia (Caracas) per esempio i video vengono mostrati in molti punti vendita dei DVD per gran parte della giornata.

Si fomenta anche una forte cultura consumistica fra i giovani, creando la percezione dell’importanza dei beni di lusso, motociclette, cellulari, automobili, vestiti di marca e così via, presentando l’appartenenza al paramilitarismo come un modo efficace di avere accesso ai mezzi finanziari necessari. Il leader contadino Braulio Álvarez mette in guardia: l’attività di sicario è diffuso fra i giovani, le cui età oscillano fra i 13 e i 18 anni. Questo vuol dire insegnare a quei ragazzi non solo a uccidere, ma addirittura a fare a pezzi persone vive. È qualcosa di veramente atroce.

Il corridoio andino e il fronte orientale

Dopo una prima fase di penetrazione economica del paramilitarismo, acquisti di tenute come basi, contrabbando di bestiame, sequestri ed estorsioni, il primo legame visibile dei paramilitari in Venezuela è con i proprietari terrieri e allevatori che usano i paramilitari colombiani come sicari. La penetrazione massiccia in Venezuela inizia con la presunta smobilitazione del paramilitarismo in Colombia nel 2003. Dalle zone di frontiera si estese prima al corridoio andino, ad oggi il fronte più sviluppato, dove si ipotizza persino la possibile esistenza di centri d’appoggio logistico e di intelligence per le attività controrivoluzionarie in Venezuela, e non è esclusa la presenza di specialisti internazionali. Secondo la logica militare, dopo il corridoio si rafforza il centro: Miranda-Caracas. E in ultimo si comincia a profilare il fronte orientale sugli assi Sucre-Delta e Amarcuro-Bolívar.

Nelle zone rurali è evidente che i proprietari terrieri stanno dietro l’organizzazione di attività paramilitari per contrastare la lotta al latifondo e la distribuzione di terre alla popolazione indigena e contadina che è stata derubata nell’arco di secoli. Dall’emanazione della prima legge agraria alla fine del 2001 fino al maggio del 2008 sono stati recuperati circa 2,7 milioni di ettari e più di 160.000 famiglie hanno cominciato a lavorarli. Dal 2002, secondo i dati dei movimenti contadini, questo ha portato all’omicidio di circa 200 contadini e indigeni. La maggioranza di questi omicidi è avvenuta nel corridoio che comprende Zulia, Barinas, Apure e Táchira, con una concentrazione ancora maggiore nelle zone strategiche ai margini del corridoio andino, come ad esempio Sur del lago.

La Federazione Nazionale degli Agricoltori e Allevatori strappò pubblicamente la Gazzetta Ufficiale in cui fu pubblicata la Legge Agraria. José Luis Betancourt, allora presidente di Fedenaga, e altri rappresentanti della federazione annunciarono che non avrebbero riconosciuto la legge. Mentre Betancourt minacciò il governo di armarsi se la legge fosse stata applicata, altri rappresentanti di Fedenaga chiamarono i loro associati alle armi. Il movente di questi crimini è senza dubbio il recupero delle terre e il fatto che il movimento contadino fosse determinato a rendere produttive quelle terre.

La porta di ingresso per i paramilitari, molti di cui provenienti dalla roccaforte paramilitare Cucutà, è stato il Táchira. A San Cristóbal estorcono il pizzo ai commercianti e controllano direttamente una quota sempre maggiore del commercio stesso. Si presume che siano addirittura proprietari di alcuni centri commerciali recentemente costruiti. In alcune strade rurali della regione ci sono perfino posti di blocco che si fanno pagare dalla gente che passa di lì. Nella zona Nord dello stato Táchira, specificatamente sull’asse San Antonio, La Fría, Colón, Coloncito e sulla costa orientale dello stato Zulia, Santa Barbara del Zulia (…) stanno prendendo posizione con una tattica di pulizia sociale (…); per ottenere appoggio, offrono sicurezza al settore dell’allevamento e del commercio, colpiti dal flagello dei sequestri e delle estorsioni, costruendo così le loro basi sociali. Ma non solo, alla fine del 2007 a Ureña e San Antonio in alcuni quartieri (ad esempio vicino l’aeroporto) i paramilitari stanno incassando 5 Bolivares forti per casa per la pulizia sociale. La gente in generale è perfino contenta che eliminino alcuni criminali e stabiliscano la sicurezza, per cui in alcune zone esiste appoggio al paramilitarismo in settori che si lasciano influenzare dal discorso della pulizia sociale.

Con l’avanzare del paramilitarismo lungo il corridoio che va da San Cristóbal verso Mérida e Barinas, avanzano anche le pratiche dei paramilitari. Secondo le informazioni di un rappresentante bolivariano eletto della zona, nel municipio Sucre di Barinas sono stati assassinati 10 tassisti e 58 persone in operazioni di pulizia sociale nel giro di due anni. A Barinas si parla anche di capitale paramilitare investito in centri commerciali.

Alla fine del marzo 2008 la polizia del Táchira catturò quattro presunti paramilitari del fronte Puerto Santandér (Colombia) a La Fría, nel municipio García de Hevia. I tre venezuelani e un colombiano erano armati con una pistola calibro 4.5 Smith e una Glock 9mm, quest’ultima richiesta dal Corpo di Investigazioni Scientifiche Penali e Criminali (CICPC) di Cumaná. Secondo la polizia glia arrestati stavano preparando un sequestro. Nello stesso contesto si starebbe indagando anche su altre persone che potrebbero essere coinvolte in estorsioni, sequestri e reati collegati al paramilitarismo nella regione. Tuttavia, poiché la maggioranza degli effettivi degli organi di sicurezza vengono ancora da governi precedenti, sotto i quali le pratiche corrotte venivano coperte, non sorprende che molti continuino con quelle pratiche. E così il FNCEZ denuncia che i paramilitari alla frontiera hanno come base logistica un cartello di narcotrafficanti con molte ramificazioni che arriva perfino a raggiungere gli stessi organi di sicurezza e importanti gruppi politici, economici e sociali della vita venezuelana. Esistono settori del CICPC, della GN e delle polizie degli stati Táchira e Zulia che proteggono e coprono le azioni del paramilitarismo; in particolare nel Táchira, ad esempio, la catena di omicidi commessi da sicari arriva a oltre 300 casi, sempre presentati dalla polizia come regolamenti di conti e guerra fra bande.

La situazione peggiore si trova nel Zulia, dove secondo molteplici denunce e testimoni buona parte del governo regionale di opposizione ha stretti legami con il paramilitarismo. Nel marzo 2008 l’ex Vicepresidente della repubblica e giornalista José Vicente Rangel denunciò “che esiste un’unità di elite nello stato Zulia che ha ricollocato paramilitari sotto la protezione del governatore del suddetto stato”. Secondo le sue informazioni, di fronte alla pressione internazionale che dovevano affrontare il governo colombiano e il suo presidente Álvaro Uribe dopo aver attaccato militarmente il territorio ecuadoriano, “si fecero circolare istruzioni affinché i gruppi paramilitari in Venezuela ripiegassero, e alcuni operatori dell’intelligence colombiana tornassero alle rispettive basi”. I paramilitari che operavano negli stati Barinas e Apure, e nelle zone di frontiera del Táchira, furono ricollocati nel Zulia.

Il 24 aprile 2008 effettivi delle Forze Armate scoprirono nei pressi della Boca de Orope, nel municipio Catatumbo, Sierra de Perijá, stato Zulia, un accampamento di paramilitari colombiani in territorio venezuelano, a 500 metri dalla frontiera. Secondo le informazioni delle autorità militari l’accampamento scoperto era usato per addestrare truppe irregolari di combattimento, come dimostrato da alcune evidenze ritrovate in loco, come travi di equilibrio, un tunnel o cunicolo, rampe di ascesa e discesa e altri ostacoli, tutti costruiti con tronchi e materiali rudimentali, oltre ad alcune insegne con il nome delle AUC. L’accampamento aveva inoltre due camerate in blocchi di cemento, tavole di legno e tetti di palma, e una cucina artigianale di terracotta. In un rastrellamento della zona circostante i militari del Teatro Operativo 2 sequestrarono quasi 80 chili di cocaina, 19 uniformi militari, un fucile, due fucili a pallettoni, munizioni, esplosivi, varie paia di galosce e anfibi, telefoni cellulari e zaini militari, fra le altre cose.

L’accampamento fu distrutto con esplosivi dalle Forze Armate il 28 aprile. Nell’accampamento ne nei dintorni arrestarono solo 4 paramilitari. Due settimane dopo Rangel denunciò che 50 militari che erano riusciti a scappare dall’accampamento scoperto erano sotto la protezione di alcuni effettivi della Polizia Regionale del Zulia.

A Machiques de Perijà, dal 2005, i proprietari terrieri hanno formato gruppi paramilitari con i colombiani e alcuni indigeni Yupka, che aggrediscono comunità indigene Yupka per privarle della terra e della vita. Il conflitto per la terra è ripreso a metà degli anni Settanta, quando alcuni Yupka scesero dalla Sierra de Perijà e rioccuparono terre delle quali erano stati derubati dalla famiglia di proprietari terrieri dei Vargas negli anni Trenta. E così come mandante degli assalti alle comunità quelle stesse indicarono Guillermo vargas, della tenuta Tizina. Nel tentativo di assassinare Sabino Romero Izarra, leader della lotta per la terra degli Yupkka, gruppi armati assaltarono fra le altre la comunità Chaktapa nel febbraio 2007, fecero uscire la gente a suon di spari e bruciarono le loro case. Nell’aprile 2008 Chaktapa fu di nuovo presa d’assalto. Le denunce pubbliche e alla Guardia nazionale secondo le comunità non hanno risolto niente. In molte regioni rurali della frontiera, e a volte neanche tanto vicine alla frontiera, la complicità di effettivi della GN, dell’esercito o della polizia, come anche di giudici, crea spazi retti non dalla Costituzione bolivariana, bensì dal paramilitarismo.

Secondo la testimonianza di Rafaél Urdaneta, nel Zulia i paramilitari colombiani hanno preso il potere. Si muovono liberamente nel mercato “Las Pulgas” e nella zona “calda” del commercio ne “La Curva De Molina” . Da queste basi operative si dedicano al compito di facilitare prestiti a venditori ambulanti e commercianti, reclutano donne di servizio, custodi, giardinieri e ambulanti per addestrarli nella “industria del sequestro”, tanto nella modalità “express” (applicabile a ogni tipo di persona, specie quelle delle classi popolari e medie), dalla quale ricevono somme che oscillano dai 300 bolivares forti fino a un milione di bolivares forti per ogni sequestrato in forma istantanea, come nel “secuestro mayor” (applicabile alle classi “alta e media”), da cui ricavano grosse somme di denaro, e in cui il periodo di detenzione è indefinito.

Il compito assegnato alle “reclute” è quello di fornire dati sui loro “padroni” (indirizzo del luogo di lavoro, conti bancari, attività ricreative, scuole in cui studiano i figli, orari dei membri della famiglia) che facilitino il sequestro.

Un’altra delle attività dei “paracos” è controllare il traffico di droga nella regione e soprattutto il riciclaggio di denaro del narcotraffico, specialmente attraverso le operazioni immobiliari (hanno una predilezione per la costruzione di centri commerciali). Stanno controllando il furto di veicoli e l’esazione del pizzo. E Urdaneta conferma quello che è vox populi: nel Zulia godono dell’appoggio di alcuni membri delle federazioni degli allevatori e del governatorato.

Tra i più grandi alleati del paramilitarismo nel Zulia c’è la potente famiglia Contreras Barboza, dalla quale è già uscito un governatore dello Stato (Carmelo Contreras Barboza, 1974-1975). Omar Contreras Barboza, fratello dell’ex governatore e alto dirigente dell’ex partito di governo Acción Democrática, è stato accusato dal sicario Orlando Peña Luzardo di averlo contrattato per incontrare il sicario che poi uccise il dott. Pedro Dorián. Orlando Peña, detenuto per porto illegale di armi e successivamente accusato dell’omicidio di Armando García il 19 settembre 2002, e accusato di oltre 60 omicidi e cinque sparizioni forzate nello stato Yaracuy, riuscì a fuggire proprio quando aveva cominciato a parlare degli autori intellettuali degli omicidi, dei quali nessuno si trova agli arresti.

La costruzione del fronte dell’Est si profila in modo più chiaro a partire dal 2008. Nel Sucre ci sono basi di narcotrafficanti da molto tempo, è un ponte tradizionale per l’invio di droga verso il Nord. Alla fine di ottobre del 2003, in un piccolo villaggio costiero del Sucre, in una sparatoria con effettivi della polizia e della GN, rimasero uccisi sette paramilitari colombiani. Altri ancora furono catturati e deportati in Colombia nei giorni successivi. Fu la prima volta in cui si confermò la presenza di paramilitari colombiani che operavano in una zona che non fosse la linea di frontiera fra i due paesi, nell’estremo occidente del Venezuela.

In questo tipo di affari, tanto più nelle zone isolate, normalmente si cerca di non attirare troppo l’attenzione. Tuttavia secondo alcuni resoconti negli ultimi due anni si è rafforzata la presenza di persone che dall’aspetto si direbbero paramilitari. Questo si spiega solamente se l’interesse dei paramilitari va ormai oltre il controllo del narcotraffico, la qual cosa corrobora l’ipotesi della costruzione di un fronte dell’Est. Secondo Luís Alfredo Marín, Presidente della Commissione Permanente di partecipazione Cittadina e viluppo Economico Regionale del Consiglio Legislativo dello Stato Delta Amarcuro, almeno dall’inizio del 2006 si percepisce una presenza paramilitare nel Delta Amarcuro. Si osservano movimenti sospetti e barche veloci con motori molto potenti nelle quali si muove gente sconosciuta nella zona, la qual cosa non è molto frequente. E nello stato Bolívar, a partire dal 2007, si comincia a notare una presenza paramilitare nella zona mineraria e a metà del 2008 comincia a essere evidente la quantità di attacchi e omicidi ai danni di tassisti e lavoratori del settore dei trasporti.

Zona centrale: penetrazione paramilitare a Caracas

Giovedì 14 febbraio 2008, come informò lo stesso Presidente Chávez, furono catturati in Piazza Venezuela, a Caracas, vari presunti paramilitari colombiani con volantini contro il governo, dopo aver piazzato una bomba a basso potenziale. Oltre a perpetrare attentati, la penetrazione paramilitare cerca di infiltrare quartieri popolari e consigli comunali come anche istituzioni chiave. Caracas come centro politico-amministrativo e quartieri che con le loro iniziative hanno impatto a livello nazionale, questo è naturalmente al centro dell’attenzione dei paramilitari. La penetrazione paramilitare nella capitale è già abbastanza avanzata, specialmente nei quartieri popolari (con maggiore presenza a Petare, El Valle, Coche, e la zona del cimitero). In tale contesto c’è da chiedersi se il presunto aumento della violenza e dell’insicurezza negli ultimi anni è casuale o una strategia paramilitare per destabilizzare e al tempo stesso per potersi presentare con più facilità come forza di ordine.

Gli omicidi di attivisti di base nei quartieri popolari di Caracas e in altre zone del paese sono aumentati in maniera preoccupante, come denunciano molte organizzazioni popolari e alcuni autori. Tuttavia passano inosservati a causa della loro dimensione locale. Giocano un ruolo anche la mancanza di conoscenza e di comprensione del fenomeno paramilitare e i pregiudizi classisti sui barrios, e il fatto che molte volte neanche negli stessi contesti e ancor meno da parte dei media e delle istituzioni gli omicidi paramilitari si identifichino come tali, ma vengano attribuiti alla delinquenza comune. Eppure il fatto che questa colpisca maggiormente leader sociali e attivisti di base dovrebbe generare per lo meno qualche dubbio. E infatti la questione sta acquistando risalto, anche se non esplicito, nei media. Solo nell’edizione di Últimas Noticias del 28 marzo 2008, nella sezione dedicata alla capitale, c’erano due notizie al riguardo: a Petare è stato assassinato un quadro comunitario di un consiglio comunale e a San Martín hanno assassinato due giovani figli di quadri del consiglio comunale. Pura casualità? Frequentemente gli assassini sono incappucciati, la qual cosa rappresenta una modalità nuova. Prima gli assassini di strada non si coprivano il volto, o comunque la gente sapeva chi si era reso responsabile di certi crimini. Si osserva anche un aumento di omicidi di pulizia sociale, diretti principalmente contro indigenti.

Una strategia, a partire almeno dal 2005, è quella di avvicinarsi a piccoli criminali di quartiere e regalare loro cocaina o vendergliela a un prezzo molto inferiore a quello di mercato per stabilire così dei legami. La stessa strategia era stata applicata in Colombia. Dopo aver creato un legame e aver fatto un tot di affari vantaggiosi per i piccoli criminali, si chiedono loro dei favori, come per esempio uccidere certe persone. In vari quartieri alcuni testimoni notano la comparsa di armi lunghe in mano a criminali locali, cosa che prima era insolita.

Il 1 maggio 2008 aporrea.org pubblicò una denuncia di alcuni abitanti del blocco 5 di Las Lomas de Urdaneta, a Catia, Caracas. Quei cittadini ricorrevano alla denuncia pubblica dopo un niente di fatto con le denunce all’autorità, e sottolineavano che non avevano avuto neanche la possibilità di confermare i loro sospetti, anche se erano sicuri che da quelle parti c’erano dei paramilitari e che la gente che si riuniva lì era contraria al processo. Dato che si tratta di una delle poche denunce rese pubbliche su come procedono concretamente i paramilitari nei barrios di Caracas, riporto quasi la denuncia completa:

1. Ci sono dei tipi molto strani, vestiti bene, con automobili di lusso, che sorridono a tutti e non sono della zona, e che si sono guadagnati l’amicizia di tutti i criminali del suddetto blocco; c’è un criminale che non avevano neanche gli occhi per piangere e che adesso guida una moto nuova che gli hanno regalato loro.

2. C’è un camper che ogni tanto viene proprio da quelle parti, con il frigo e tutte le comodità, si ferma per vari giorni e durante quel tempo si riuniscono, entrano ed escono ed è chiaro che stanno complottando. Si riuniscono anche il venerdì e il sabato sera, ma non sappiamo se in qualche appartamento del blocco 5 o nella scuola Caracas che sta lì accanto, quello che vediamo è la gran quantità di motociclisti e altre persone che vanno in giro fino all’alba.

3. Ci sono vari motociclisti ai quali pare che regalino le moto come modo per comprarli e tirarli dalla loro parte, e temiamo che li stiano addestrando come paramilitari venezuelani.

4. Tutte le notti si spara per il quartiere e le armi (perfino mitragliatrici) si sentono come se si stessero mandando messaggi da Propatria a Las Lomas e viceversa. Succede anche nei dintorni. Dal momento che sparano a destra e a manca, la gente che percorre la strada di Las Lomas corre gravi pericoli, e questo ci preoccupa molto.

Aumentano i riscontri sull’infiltrazione paramilitare del commercio informale. Questo risponde alla strategia di creare una forte rete territoriale di intelligence. Nello stesso contesto, ci sono anche aziende di trasporti e taxi sotto il dominio paramilitare. In alcune zone di Caracas (per esempio La Urbina e Las Mayas a Coche), secondo alcuni testimoni i paramilitari hanno infiltrato il commercio informale e le bancarelle che vendono cibo. E si osservano anche sempre più colombiani arrivati di recente che vendono gelato per strada. Questo è sorprendente in quanto si trattava di un’attività per persone con scarsissimo accesso al mercato del lavoro, per diversi motivi. Pertanto prima la gran parte di loro era di Haiti, Trinidad y Tobago, gente che difficilmente trova lavoro per via della barriera linguistica e altre cause. I colombiani generalmente hanno un livello di istruzione migliore e si integrano facilmente al mercato del lavoro venezuelano.

Secondo informazioni di altre comunità, i paramilitari stanno infiltrando i Consigli Comunali. In vari casi questo si sta facendo attraverso la commissione sportiva. La cosa non sorprende, visto che è proprio lì che è più facile evitare di parlare di politica e avere inoltre accesso ai giovani della comunità, che sono quelli che interessano come potenziali reclute. In un caso, in una zona popolare di Catia, un quartiere molto povero, è arrivato un colombiano trasferitosi da poco in Venezuela (con carta d’identità venezuelana che evidentemente apparteneva a una persona nata in Venezuela, la qual cosa in sé non è motivo sufficiente per credere che sia un paramilitare, visto che la falsificazione è abbastanza comune) e dopo una settimana ha cominciato a fare regali a tutti i bambini del vicinato. Qualche tempo dopo ha chiesto di entrare a far parte della commissione sportiva. La comunità all’inizio non ha sospettato di niente, e non gli è sembrato strano che qualcuno che andava a vivere in una zona di forte marginalità avesse le risorse per fare tanti regali. Questo mette in evidente quanto sia importante fare un lavoro di sensibilizzazione nelle comunità. La gente ha cominciato a sospettare quando il personaggio, che riceveva spesso visite di altri colombiani che giravano su macchine di lusso dai vetri scuri, ha cominciato a parlare male del governo di Chávez, insistendo che l’immagine dei paramilitari colombiani in Venezuela è falsa e che in Colombia hanno fatto un buon lavoro, dando sicurezza alla gente.

Da altri quartieri in zone diverse, da Petare fino a una parte della Candelaria, attivisti dei Consigli Comunali osservano che dove il lavoro comunitario è riuscito a rianimare la vita di vicinato nelle strade, attraverso iniziative del Consiglio Comunale o lavoro comunitario, si assiste a una pressione armata di piccoli criminali locali contro l’organizzazione comunitaria. I miei informatori erano d’accordo nel ritenerlo strano perché prima non accadeva, piuttosto che crearsi problemi seri con la comunità i piccoli criminali preferivano andare altrove. Tuttavia la maggioranza dei testimoni del fenomeno non hanno collegato i fatti con il paramilitarismo, a causa del fatto che nella base manca quasi del tutto la conoscenza del modus operandi del paramilitarismo.

Impunità e complicità istituzionale

In tutto il capitolo si mette in evidenza come problema enorme la complicità di una parte dell’esercito, della GN, della polizia, delle istituzioni governative, dell’amministrazione ecc. Così Luís Britto García, di fronte alla proliferazione del gioco illegale, sebbene nei luoghi aperti al pubblico sia sanzionato dal Codice Penale, critica i casino, che sono le grandi bandiere dei distaccamenti di quel nemico, sono fatti con la collaborazione di autorità che gli permettono di esistere. Sul campo, il problema dell’impunità di fatto è evidente. La giustizia venezuelana a livello locale, in molte zone del paese, continua ad essere al servizio dei ricchi e dei potenti. E così, sebbene ci siano denunce e perfino testimoni in relazione a molti dei 200 omicidi di contadini, c’è solo una colpevole in carcere. A livello locale spesso né la polizia né la magistratura si preoccupano troppo di risolvere gli omicidi o perseguire i colpevoli. E quando non c’è modo di evitare una condanna i proprietari terrieri ricevono un trattamento privilegiato. Così è stato nel caso della proprietaria terriera Sioly Torres a Sur del Lago (Zulia). Il 14 aprile del 2004, accompagnata dalla polizia locale e nove uomini armati, voleva sfrattare la cooperativa Santa Elena de Arenales, alla quale aveva dovuto cedere la metà delle terre che reclamava come sue senza avere i documenti appropriati. Quando la polizia rifiutò di eseguire lo sfratto perché quelli della cooperativa avevano la carta agraria, Torres aprì il fuoco sui contadini e assassinò Jesús Antonio Guerrero López. In precedenza aveva chiesto a uno dei suoi accompagnatori l’arma con le parole: “dammi una carabina, ché voglio uccidere uno di questi porci”. La giudice tuttavia non ha visto nessuna intenzionalità nell’omicidio e ha ridotto la pena perché Torres aveva agito in preda all’ira.

Io ho l’impressione che ci sia il timore di agire contro pesci grossi e certi cognomi in Venezuela. Per il procedimento e il modo in cui hanno acquisito le terre e i fatti che si sono verificati in quelle zone, non c’è il minimo dubbio che hanno legami con l’attività dei sicari, spiega Braulio Álvarez.

Álvarez ha denunciato i possibili legami del governatore di opposizione del Zulia, Manuel Rosales, con l’acquisto di terre dopo le pressioni di paramilitari e sicari. Rosales aveva comprato almeno sette proprietà fondiarie negli ultimi anni, dopo che i precedenti proprietari avevano subito pressioni da parte di gruppi armati affinché lasciassero le terre, la qual cosa ha fatto scendere il prezzo delle stesse. Álvarez, che ha già subito due attentati da parte di sicari assoldati dai proprietari terrieri, denuncia che solo nel Zulia ci sono più di 1.500 contadini imputati per aver lottato a favore della giusta ripartizione delle terre che sono proprietà dello Stato venezuelano e che si trovano nelle mani di latifondisti e proprietari terrieri. José Vicente Rangel ha denunciato che il capo del cartello del Norte del Valle, Wilber Varela, alias “Sapone”, assassinato a Mérida all’inizio del 2008, usciva ed entrava dal Venezuela, fin dal 2004, e contava sulla protezione di funzionari corrotti, come poliziotti, membri della Guardia Nacional, investigatori e personale amministrativo civile. Varela aveva grandi investimenti in Venezuela in centri commerciali, supermercati, tenute agricole e progetti urbanistici.

In Venezuela l’impunità e la complicità delle istituzioni è chiaramente un problema strutturale e non una politica dello Stato come nel caso della Colombia, dove persino paramilitari detenuti contano sull’appoggio delle istituzioni. Basti pensare al narcotrafficante e comandante del gruppo paramilitare “Aquile Nere” Gerson Álvarez Dueñas, conosciuto anche come “Comandante John”, “El Nono” o “El Paraco”. Dueñas, secondo informazioni delle autorità venezuelane, aveva proprietà a San Carlos, capitale di Cojedes, dove teneva grandi quantità di droga prima di mandarle negli Stati Uniti e in Europa. Inoltre, attraverso le sue strutture in Venezuela, si dedicava al sequestro, all’estorsione e al furto di bestiame. Catturato in Venezuela, il paramilitare fu consegnato al Dipartimento Amministrativo di Sicurezza (DAS) colombiano il 14 giugno del 2007. Appena tre settimane più tardi, il 6 luglio, Dueñas evase dal carcere uscendo dalla porta principale con un ordine di libertà condizionale. Tuttavia la sua fuga non fu resa pubblica fino a quasi un anno dopo, quando l’Istituto Nazionale Penitenziario e Carcerario della Colmbia (INPEC) la rese nota. La scomparsa del narcotrafficante non sarebbe stata notata fino a quel momento.

Intesa e SAIC – Guerra tecnologica

Il blocco quasi totale delle attività della PdVSA nel dicembre 2002 fu incentrato intorno al sabotaggio del software operativo della rete informatica e la sparizione delle chiavi di accesso alla stessa. Tutte le operazioni della PdVSA nei porti, nelle raffinerie, nell’estrazione ecc. erano in una qualche misura controllate da Caracas attraverso la rete informatica. L’azienda che amministrava tutto questo dal 1999 era INTESA, una sussidiaria di PdVSA. Anche se PdVSA aveva messo tutto il capitale dell’impresa e continuava a pagare circa 80 milioni di dollari all’anno per i suoi servizi, il socio maggioritario era con il 60% la statunitense Science Applications International Corporation (SAIC). Il promotore di questo affare, l’allora presidente di PdVSA Luís Giusti, diventò poi consulente di George Bush nelle questioni petrolifere. Roger Brown, direttore del dipartimento per le iniziative globali di petrolio e gas della SAIC fu nominato direttore di INTESA.

La SAIC è una mega-azienda di servizi tecnologici dai profitti annuali miliardari, di cui il 90% proviene da contratti stipulati con il governo degli Stati Uniti nei settori della difesa, dei servizi di informazione e dell’intelligence. A SAIC amministra le informazioni ed è responsabile del sistema informatico del Pentagono, partecipa allo sviluppo di armi sofisticate, fa studi di efficacia e consulenze tecniche su armi, disastri, incidenti aerei, e ha fatto perfino una consulenza sugli attacchi alle Torri Gemelle. Anche per la guerra in Iraq la SAIC ha ottenuto molti incarichi. Fra gli altri, lo sviluppo e l’amministrazione del sistema informatico per la produzione petrolifera irachena. Non è sorprendente che per il consiglio di amministrazione della SAIC nell’ultimo decennio siano passati ex direttori della CA, ex generali dell’esercito, ex funzionari del Pentagono ed ex segretari della Difesa. Durante il golpe petrolifero il direttore di SAIC era J. R. Beyster, che insieme a tutti gli altri direttori dei servizi d’intelligence faceva parte del Comitato di Valutazione della Sicurezza nelle telecomunicazioni del governo degli Stati Uniti.

Nel 2008 all’interno del consiglio di amministrazione, fra ex direttori di imprese che producono armi come Raytheon, Lockheed e ITT, e di gruppi di ricerca sull’intelligence e la difesa, troviamo anche John Hamre, ex viceministro della Difesa fra il 1997 e il 2000, Miriam E., membro di comitati di valutazione del Ministero della Difesa degli Stati Uniti, Anita Jones, fra il 1993 e il 1997 direttrice del settore Ricerca e Sviluppo del Ministero della Difesa, e il generale della Forza Aerea John P. Jumper, anche lui consulente del Ministero della Difesa e membro di consigli di amministrazione di varie Compagnie Militari Private (CMP).

Ufficialmente l’esternalizzazione del controllo informatico di PdVSA fu giustificata con una riduzione dei costi, che in realtà non ci fu mai. Si diede invece alla CIA l’accesso al controllo dell’industria petrolifera venezuelana. I lavoratori, le lavoratrici e gli ingegneri che non parteciparono allo sciopero, insieme all’appoggio popolare e quello dell’esercito ristabilirono la produzione manualmente dopo aver disconnesso ciascuna area della rete informatica centralizzata.

In questo contesto bisogna prendere atto che la presenza di CMP contrattate dalla PdVSA o altri enti governativi continua. Halliburton ad esempio, che ha stretti legami con il Pentagono, opera in Venezuela da 60 anni e ha perfino incrementato i suoi affari in Venezuela negli ultimi anni. Non c’è il minimo dubbio che in un certo periodo Halliburton a suo modo sia stato un’altra INTESA.
Wackenhut, non solo sicurezza

Wackenhut è un’agenzia di sicurezza e intelligence. Molti dei contratti della transnazionale statunitense provengono dall‘esercito degli Stati Uniti e dalla Nasa. Wackenhut offre sicurezza alle centrali nucleari negli Stati Uniti e a molte ambasciate statunitensi, compresa quella in Venezuela, offre personale di sicurezza per funzionari statunitensi all’estero e ha partecipato alla privatizzazione del sistema carcerario negli Stati Uniti. Simile alla SAIC, anche se di profilo più basso, il consiglio di amministrazione è composto da ex agenti della CIA e della NASA. Il direttore di Wackenhut in Venezuela, Isaac Pérez Recao, faceva parte del nucleo dei golpisti nell’aprile 2002 e Wackenhut offrì i suoi servizi al dittatore Pedro Carmona. Nell’ottobre 2003 comparve un video in cui si vedevano agenti della polizia di Baruta e Chacao (municipi dell’opposizione) con alcuni impiegati di Wackenhut e un impiegato dell’ambasciata degli Stati Uniti a Caracas, l’ex militare Colonnello Corri. L’audio non si sente bene, parlano di operazioni e discrezione, ambasciata e ambasciatore, fino a quando uno dei partecipanti esclama che non possono andare a raccontare a destra e a manca che sono della CIA. Poi si parla di ponti e autostrade. Il motivo dell’incontro non risulta chiaro. Alcuni deputati bolivariani hanno dichiarato che si trattava della pianificazione di azioni di destabilizzazione. L’ambasciata degli tati Uniti ha smentito. Alcuni giorni dopo dei deputati bolivariani hanno presentato un altro video nel quale si osserva il decollo di un aereo da Valencia, capitale dello stato Carabobo, allora governata dall’opposizione. Secondo il deputato Nicolás Maduro l’aereo appartiene alla CIA. Alcune delle persone che salgono sull’aereo sono armate, cosa severamente proibita dalla legge negli aeroporti civili. Secondo la DISIP alcune delle persone che compaiono nel video sono impiegati di Wackenhut. Nel video riappare anche una persona che nel primo video aveva passato informazioni su questioni di sicurezza e controllo. A fronte di denunce, gli uffici di Wackenhut sono stati rasi al suolo e sono stati sequestrati armamenti e munizioni.

Alcune conclusioni

Questa indagine è focalizzata sul paramilitarismo e le CSP/CMP. In una cornice più ampia di strategie controrivoluzionarie applicate principalmente dagli Stati Uniti contro il Venezuela i due elementi si combinano con molti altri, come per esempio la guerra mediatica e le pressioni internazionali. Tuttavia, mentre questi due ambiti sono ampiamente documentati e dibattuti, e si è sviluppata una politica strategica da parte dello Stato e delle strutture di base, non si può dire lo stesso rispetto al paramilitarismo e alle CMP. Questo sebbene il golpe petrolifero abbia messo in evidenza il ruolo strategico della guerra tecnologica e il paramilitarismo sia già avanzato molto.
È necessario analizzare la strategia paramilitare nel suo insieme, e coscientizzare e coordinare diversi settori della società venezuelana in politiche che contrastino e combattano l’avanzata del paramilitarismo in tutte le sue espressioni. Le organizzazioni di base, i Consigli Comunali e le organizzazioni contadine sono pedine fondamentali in questo lavoro. Ed è molto importante informare le comunità sui meccanismi paramilitari. L’infiltrazione militare è facilitata dal fatto che la popolazione per la maggior parte né sa cosa sia il paramilitarismo, né tanto meno sa individuare i suoi meccanismi di penetrazione e azione.

Un altro problema è fare un’ispezione rigorosa delle stesse autorità e una sensibilizzazione di agenti e impiegati del governo e delle sue strutture di difesa. Ci sono indagini e operazioni di successo dell’Esercito e della DISIP contro il paramilitarismo. Ma si sente anche, da parte di organizzazioni di base eConsigli Comunali dei barrios di Caracas, e di comunità contadine e indigene negli stati Apure, Barinas, Táchira e Zulia, che le autorità non agiscono, pur essendo state avvisate. Questo porta a una perdita di fiducia nelle autorità da parte della popolazione, che smette di denunciare i fatti perché teme di trasformarsi in un bersaglio prioritario dei paramilitari. La mancanza di azione da parte delle autorità ha cause molteplici. Alcune non prendono sul serio le denunce, altre non sono preparate e non riescono a riconoscere o a capire il funzionamento del paramilitarismo. E in alcuni casi sono perfino complici del paramilitarismo (quasi sempre per motivi economici, non politici).

Nell’ambito della lotta contro il paramilitarismo bisogna evitare anche che la paramilitarizzazione porti a un atteggiamento di rifiuto e sospetto verso i colombiani residenti in Venezuela. A fronte di 5 milioni di colombiani nel paese sarebbe un controsenso che corrisponderebbe solo all’interesse della destra di trasformare il conflitto politico-ideologico e di classe in uno fra colombiani e venezuelani.

Non è ancora troppo tardi per evitare la paramilitarizzazione del Venezuela e la formazione di un esercito controrivoluzionario.

*Tratto da El negocio de la guerra. Nuevos mercenarios y terrorismo de Estado. Caracas: Monte Àvila Editores, 2009.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione a cura di Pier Paolo Palermo]


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