Lo Stato delle Comuni: consigli comunali, comuni e democrazia operaia
Il carattere peculiare di quello che Hugo Chávez chiamava il processo Bolivariano sta nell’aver capito che la trasformazione sociale può essere costruita nei due sensi, “dall’alto” e “dal basso”.
Il Bolivarianismo, o Chavismo, conta fra i suoi partecipanti sia organizzazioni tradizionali che nuovi gruppi autonomi; abbraccia tanto correnti stato-centriche quanto anti-sistemiche. Il processo dunque differisce dagli approcci tradizionali di tipo leninista o socialdemocratico, per entrambi i quali lo stato è l’attore centrale del cambiamento; si differenza anche dagli approcci movimentisti che non concepiscono alcun tipo di ruolo per lo stato in un processo di cambiamento rivoluzionario.
La trasformazione in corso in Venezuela è dunque il prodotto di una tensione fra potere costituente e costituito, laddove il principale attore del cambiamento è quello costituente. Il potere costituente è la legittima capacità creativa collettiva degli esseri umani, espressa nei movimenti e nella base sociale organizzata, per creare qualcosa di nuovo senza che questo debba derivare da qualcosa di già esistente. Nel processo Bolivariano il potere costituito – lo Stato e le sue istituzioni – accompagna la popolazione organizzata; deve essere il facilitatore di processi che partano dal basso, in modo che il potere costituente possa proseguire nei percorsi necessari per cambiare la società.
Questo approccio è stato elaborato in varie occasioni dall’ex presidente Hugo Chávez ed è stato confermato dal suo successore Nicolás Maduro, durante la recente campagna elettorale. È condiviso da settori del Governo e dalla maggioranza dei movimenti organizzati. Sia da parte del Governo che da parte dell’elemento di base del processo Bolivariano, c’è un dichiarato impegno a ridefinire Stato e società partendo dall’interrelazione fra il vertice e la base, e pertanto di mettersi in marcia verso il superamento dei rapporti capitalistici. Sebbene non privo di contraddizioni e conflitti, questo approccio a doppio binario è stato in grado di sostenere e approfondire il processo di trasformazione sociale in Venezuela.
Il potere costituente, essendo inclusivo e tendente all’espansione, è stato il fondamento di ogni rivoluzione, democrazia e repubblica; è il più grande motore della Storia, la più potente e innovativa forza sociale. Storicamente, tuttavia, abbiamo visto poteri costituenti ridotti al silenzio e indeboliti non appena compiuto il loro ruolo di legittimare il potere costituito. In un autentico processo rivoluzionario, quindi, il potere costituente deve mantenere la sua capacità di intervenire e di plasmare il presente, di creare qualcosa di nuovo che non derivi dal vecchio. È questo che definisce una rivoluzione: non l’atto del prendere il potere, ma piuttosto un ampio processo di costruzione del nuovo, un atto di creazione e invenzione. Questa è l’eredità globale del processo Bolivariano. (1)
In Venezuela, il concetto di potere costituente è sorto alla fine degli anni Ottanta come tratto distintivo di un continuo processo di trasformazione sociale. Il principale slogan delle assemblee di quartiere era «Non vogliamo essere un governo, vogliamo governare». Questa idea, concepita in termini sempre più radicali, è arrivata ad orientare la trasformazione rivoluzionaria, conquistando uno status egemonico nel dibattito post-ideologico degli anni Novanta. (2)
Il processo Bolivariano è cominciato con la rivendicazione di un rafforzamento dei diritti civili e umani, e della costruzione di una “democrazia partecipativa e protagonica” alla ricerca di una “terza via” fra il capitalismo e il socialismo. A partire dalla fine del 2005, però, il Presidente Hugo Chávez ha descritto il socialismo come l’unica alternativa per realizzare il necessario superamento del capitalismo. Le elezioni presidenziali del 2006 furono definite da Chávez una scelta tra il capitalismo e il cammino verso il socialismo. L’inizio dell’era di Chávez presidente ha espanso e rafforzato le possibilità di partecipazione e le strutture consiliari, e ne ha create di nuove. L’idea della partecipazione è stata ufficialmente definita in termini di potere popolare, democrazia rivoluzionaria e socialismo. A causa delle ovvie difficoltà nel definire un percorso ben definito verso il socialismo, o un concetto chiaro di cosa il socialismo possa essere oggi, l’obiettivo è stato definito come “socialismo del ventunesimo secolo”, ed è un progetto tuttora in corso. Il nome serve anche a distinguerlo dai “socialismi reali” del XX secolo. Il processo di ricerca e costruzione è guidato soprattutto da valori come il collettivismo, l’uguaglianza, la solidarietà, la libertà e la sovranità. Si concreta nella costruzione di assemblee consiliari. (3)
Nel gennaio 2007 Chávez propose di andare oltre lo stato borghese, costruendo una ‘statualità’ delle comuni. In tal modo raccolse e diede una più ampia applicazione a un’istanza che nasce all’interno delle forze anti-sistemiche. L’idea centrale era quella di formare strutture consiliari di ogni tipo (consigli comunali, comuni e città comunali, per esempio), come strutture di autogestione popolare. Consigli di lavoratori, studenti, contadini, e donne, fra gli altri, avrebbero poi dovuto cooperare e coordinarsi a un livello più alto per sostituire gradualmente lo stato borghese con uno stato delle comuni. Secondo il Piano Nazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale 2007-2013, «dal momento che la sovranità risiede interamente nel popolo, il popolo può dirigere lo stato in prima persona, senza dover delegare la sua sovranità, come fa nella democrazia indiretta o rappresentativa». (4)
Il concetto di separazione fra “società civile” e “società politica”, espresso ad esempio dalle ONG, è dunque respinto. L’enfasi viene messa piuttosto sull’incoraggiare e promuovere il potenziale e la capacità diretta della base popolare di analizzare, decidere, mettere in pratica e valutare tutto quanto è importante per la sua vita. Il potere costituente si incarna nei consigli, nelle istituzioni del potere popolare, e nel concetto fondamentale di stato delle comuni. Come è stato proposto nella riforma costituzionale respinta nel referendum del 2007, il futuro stato comunale deve essere subordinato al potere popolare, che sostituisce la società civile borghese. (5)
Questo riempirebbe il vuoto fra l’economico, il sociale e il politico – tra la società civile e la società politica – che soggiace al capitalismo e allo stato borghese. Allo stesso tempo impedirebbe l’iper-centralizzazione che ha caratterizzato i paesi del “socialismo reale”. (6)
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I consigli comunali sono una struttura non rappresentativa di democrazia diretta e il meccanismo più avanzato di auto-organizzazione a livello locale in Venezuela. Nel 2013 sono stati varati circa 44.000 consigli comunali in tutto il paese. Dal momento che la nuova costituzione del 1999 definiva il Venezuela in quanto «una democrazia partecipativa e protagonica», si erano sperimentati tutta una serie di meccanismi per la partecipazione della popolazione all’amministrazione locale e ai processi decisionali. All’inizio questi erano legati a istituzioni rappresentative locali e integrati nel quadro istituzionale della democrazia rappresentativa. Competendo sullo stesso territorio come istituzioni locali, e dipendendo dai finanziamenti autorizzati da questi organi, le diverse iniziative ebbero scarso successo.
I consigli comunali cominciarono a formarsi nel 2005 come iniziative “dal basso”. In diverse parti del Venezuela, organizzazioni di base promossero autonomamente forme di autogestione locale chiamate “governi locali” o “governi di comunità”. Durante il 2005, un assessorato della giunta comunale di Caracas si concentrò sulla promozione di questa proposta nei quartieri poveri della città. Nel gennaio 2006, Chávez adottò questa iniziativa e cominciò a diffonderla. Nel suo programma televisivo settimanale “Aló Presidente”, Chávez presentò i consigli comunali (consejos comunales) come una specie di “buona pratica”. A questo punto esistevano già circa 5.000 consigli comunali. Nell’aprile 2006 l’Assemblea Nazionale approvò la Legge dei Consigli Comunali, che fu riformata nel 2009 a seguito di un’ampia consultazione di portavoce dei consigli. I consigli comunali nelle aree urbane comprendono fra le 150 e le 400 famiglie; nelle zone rurali, un minimo di 20 famiglie; e nelle zone indigene, almeno 10 famiglie. I consigli costruiscono una struttura non rappresentativa di partecipazione diretta che esiste parallelamente agli organi elettivi rappresentativi del potere costituito.
I consigli comunali sono finanziati direttamente da istituzioni statali di livello nazionale, evitando così possibili interferenze degli organi municipali. La legge non dà a nessun ente l’autorità di accettare o rifiutare le proposte presentate dai consigli. Il rapporto fra i consigli e le autorità costituite non è, tuttavia, sempre armonioso; i conflitti sorgono principalmente a causa della lentezza del potere costituito nel rispondere alle richieste fatte dai consigli e da tentativi di interferenza. I consigli comunali tendono a trascendere la divisione tra società politica e società civile, a rompere la sfera separata del politico (ovvero fra governanti e governati). Così si spiega il fatto che gli analisti liberali, in favore di quella divisione, vedono i consigli comunali sotto una luce negativa, sostenendo che non sono organizzazioni indipendenti della società civile, ma sono piuttosto legate allo Stato. Ma la verità è che si tratta di una struttura parallela attraverso la quale il potere e il controllo sono gradualmente sottratti allo Stato a favore dell’autogoverno. (7)
Ad un livello più alto di autogoverno c’è la possibilità di creare comuni socialiste, attraverso la combinazione di vari consigli comunali su un determinato territorio. I consigli decidono autonomamente sulla geografia di queste comuni. Queste comuni possono sviluppare progetti a medio e lungo termine di maggiore impatto, mentre le decisioni continuano a essere prese nelle assemblee dei consigli comunali. Ad oggi ci sono oltre 200 comuni in costruzione.
Nel contesto della creazione di comuni e città comunali è importante per l’analisi distinguere fra lo spazio politico-amministrativo (assoluto) e quello socio-culturale-economico (relazionale). (8)
Le comuni corrispondono a quest’ultimo; i loro confini con corrispondono necessariamente a spazi politico-amministrativi già esistenti. Mentre questi continuano a esistere, l’istituzionalizzazione dei consigli comunali, delle comuni e delle città comunali sviluppa e plasma lo spazio socio-culturale-economico. Così, l’idea di un’auto-organizzazione non rappresentativa su base locale e consiliare crea una «nuova geometria del potere». Il concetto di potere nella geografia umana, nell’elaborazione di Doreen Massey, è stata tradotta in «pratica politica positiva» a seguito del «riconoscimento dell’esistenza e dell’ampia diffusione, all’interno del Venezuela, di geometrie del potere altamente diseguali, e dunque non democratiche». (9)
Varie comuni possono formare città comunali, con un’amministrazione e una pianificazione che partono “dal basso” se l’intero territorio è organizzato in consigli comunali e comuni. Il meccanismo della costruzione delle comuni e delle città comunali è flessibile; esse definiscono autonomamente i loro obiettivi. E così la costruzione dell’autogoverno comincia da quello che la popolazione stessa considera più importante, necessario od opportuno. Le città comunali che hanno cominciato a formarsi fino ad oggi, per esempio, sono rurali e strutturate intorno all’agricoltura, come la Ciudad Comunal Campesina Socialista Simón Bolívar nello stato meridionale di Apure o la Ciudad Comunal Laberinto nello stato nord-occidentale del Zulia. L’organizzazione e la costruzione di comuni e città comunali è stata più facile nelle zone suburbane e rurali che nelle zone metropolitane, poiché ci sono meno elementi di distrazione e opposizione, e allo stesso tempo gli interessi comuni sono più facili da definire.
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Per quanto riguarda la democratizzazione della proprietà e della gestione dei mezzi di produzione, il Venezuela ha sperimentato una serie di modelli diversi. Tra il 2001 e il 2006, il governo venezuelano – oltre ad asserire il controllo statale sugli aspetti principali dell’industria petrolifera – si è concentrato sulla promozione del modello cooperativo per qualsiasi tipo di azienda, inclusi modelli di cooperative gestite con la partecipazione dello Stato o di imprenditori. La Costituzione del 1999 assegnava un peso speciale alle cooperative. Erano concepite come un contributo a un nuovo equilibrio sociale ed economico, e quindi hanno ricevuto enormi aiuti da parte dello Stato. Le condizioni favorevoli hanno portato a un boom nel numero di cooperative avviate. A metà del 2010, secondo l’istituto nazionale di supervisione delle cooperative Sunacoop, 73.968 cooperative sono state certificate come operative, con un totale stimato di due milioni di membri, anche se alcune persone partecipavano a più di una cooperativa e venivano pertanto contate due volte. (10)
L’idea iniziale che le cooperative avrebbero prodotto automaticamente per la soddisfazione dei bisogni sociali e che la loro solidarietà interna, basata sulla proprietà collettiva, si sarebbe estesa alle loro comunità locali, si dimostrò un errore. La maggior parte delle cooperative continuava a seguire la logica del capitale; concentrandosi sulla massimizzazione delle entrate al netto senza sostenere le comunità circostanti, molte facevano a meno di integrare nuovi membri. (11)
Alla luce di queste esperienze, lo sforzo del governo nel sostenere la creazione di cooperative si orientò verso cooperative controllate e di proprietà delle comunità. In risposta alla serrata del 2002-2003, lo “sciopero degli imprenditori”, che aveva l’intenzione dichiarata di rovesciare il governo Chávez, i lavoratori iniziarono un processo di riappropriazione dei luoghi di lavoro abbandonati dai loro proprietari. All’inizio il governo ha affidato i casi ai tribunali del lavoro, e poi, nel gennaio 2005, ha cominciato gli espropri. A partire dal luglio 2005 il governo ha cominciato a prestare particolare attenzione alla situazione delle imprese chiuse, e da allora centinaia di quelle imprese sono state espropriate. Ma una politica sistematica di espropri nel settore produttivo non è esistita fino al 2007. Le imprese espropriate ufficialmente dovrebbero essere trasformate in “proprietà sociale diretta” sotto il diretto controllo di lavoratori e comunità. In realtà la maggior parte di esse non è gestita da lavoratori e comunità ma da istituzioni statali. Le condizioni di lavoro essenzialmente non sono cambiate, e gli espropri non hanno automaticamente prodotto co-gestione o controllo da parte dei lavoratori.
Il concetto di “proprietà sociale diretta” si dovrebbe applicare anche a centinaia di nuove “fabbriche socialiste” costruite dal governo nel contesto di una più ampia strategia di industrializzazione. I consigli comunali locali selezionano i lavoratori, mentre i professionisti necessari provengono da istituzioni statali e governative. Lo scopo è di trasferire gradualmente la gestione delle fabbriche nelle mani dei lavoratori organizzati e delle comunità. Ma la maggior parte delle istituzioni statali coinvolte fanno poco per organizzare questo processo o preparare i dipendenti, la qual cosa ha generato conflitti sempre maggiori fra lavoratori e istituzioni.
Nel 2007 Chávez ha raccolto l’idea dei “consigli socialisti dei lavoratori”, che veniva già discussa da molti lavoratori a livello di base e da consigli e organizzazioni dei lavoratori già esistenti, tanto che c’era una rete che portava proprio quel nome: Consigli Socialisti dei Lavoratori (CST). Chávez ha presentato il CST come una buona pratica e ha rivolto ai lavoratori l’invito a formare CST sui loro luoghi di lavoro. Nonostante ciò, poiché la maggior parte delle istituzioni erano contrarie ai consigli dei lavoratori, all’inizio si sono formati solo pochi consigli, principalmente in fabbriche recuperate come la fabbrica di valvole Inveval, o la fabbrica di tubi idraulici Inefa.
Una crescente pressione dal basso ha spinto diverse istituzioni governative a cominciare ad accettare o perfino promuovere la creazione di consigli di lavoratori in posti di lavoro gestiti dalle istituzioni, anche senza il beneficio di una legge in vigore sui consigli dei lavoratori. Ma mentre da una parte la maggior parte delle istituzioni ha provato a impedire la costituzione di consigli dei lavoratori nei luoghi di lavoro, in altre imprese, tra cui quelle gestite dallo Stato, le istituzioni spesso hanno cercato di assumere la guida e costituire esse stesse dei CST. Questa mossa ha rappresentato un tentativo di distorcere lo scopo dei consigli e ridurli a un’autorità rappresentativa che affrontasse questioni relative al lavoro e al salario all’interno della burocrazia governativa. Di conseguenza, il CST si è trasformato in un altro luogo di lotta per il controllo dei lavoratori. (12)
Il tentativo di maggior successo di democratizzare la proprietà e la gestione dei mezzi di produzione è il modello delle Imprese di Proprietà Sociale Comunale (EPSC), promosse per creare unità di produzione locali e imprese di servizi alla comunità. Le EPSC sono proprietà collettiva delle comunità, che decidono la struttura organizzativa delle imprese, i lavoratori che ne fanno parte e l’uso che si farà dei profitti. Le imprese e istituzioni governative promuovono le imprese comunali dal 2009, e dal 2013 diverse EPSC sono state costituite. La maggior parte appartengono al settore dei servizi alla comunità, come il trasporto pubblico, o sono impegnate nella produzione e lavorazione del cibo. La compagnia petrolifera statale, PDVSA, ha messo su una distribuzione locale di gas liquidi chiamata Gas Comunal. (13)
Dal 2007, la capacità riformatrice del Governo si è scontrata sempre di più con i limiti inerenti allo stato borghese e al sistema capitalista. I movimenti e le iniziative per l’autogestione e l’autogoverno, pensate per superare lo stato borghese e le sue istituzioni, con l’obiettivo di sostituirlo con uno stato comunale basato sul potere popolare, sono cresciuti. L’allargamento della partecipazione diretta di base porta un aumento dei conflitti fra lo Stato e la sua base popolare (specialmente nella sfera della produzione) come anche all’interno dello stesso Stato, che diventa un luogo di conflitto di classe. Non sorprende che l’approfondimento delle trasformazioni sociali moltiplichi i punti di scontro fra strategie top down e bottom up. Ma allo stesso tempo, grazie all’estensione del lavoro delle istituzioni statali insieme al consolidamento e alle maggiori risorse del processo Bolivariano, le istituzioni statali sono state in genere rafforzate e si sono maggiormente burocratizzate. Le istituzioni del potere costituito puntano al controllo dei processi sociali e alla riproduzione di se stesse. Dal momento che le istituzioni del potere costituito rafforzano e al contempo limitano il potere costituente, il processo di trasformazione è molto complesso e contraddittorio.
Le istituzioni, così come molti individui che le dirigono, seguono una logica inerente di perpetuazione ed espansione del loro potere e controllo istituzionale, per assicurare la sopravvivenza dell’istituzione. O, come spiega Tamara Esis, un’attivista appartenente a un consejo comunal di Caracas, in una intervista personale, «Queste brave persone che si sono già messe comode nei loro uffici non sono disposte a rinunciare ai loro benefici, vivono sui bisogni della gente. È come avere una piccola azienda, capisci?».
Questa tendenza viene rafforzata in tempi di profondi cambiamenti strutturali, quando l’utilità e l’esistenza di qualsiasi istituzione è messa in discussione nel contesto della trasformazione.
In effetti il Ministero delle Comuni risulta essere uno dei maggiori ostacoli alla costruzione delle comuni e la maggior parte delle comuni in costruzione si lamentano del Ministero. Solo la crescente organizzazione “dal basso”, specialmente la rete auto-organizzata di attivisti che mette insieme circa 70 comuni è riuscita a fare sufficiente pressione sul Ministero delle Comuni perché questo modificasse le sue politiche alla fine del 2011. Hanno costretto il ministero a registrare circa 20 comuni. In cambio le Comuni hanno dovuto avviare il registro, perché il Ministero delle Comuni non solo non aveva registrato neanche una comune nei primi tre anni della sua esistenza, ma un anno dopo che la legge sulle comuni era stata promulgata non aveva creato neanche una procedura ufficiale per la registrazione delle comuni.
Nonostante tutto, le strategie “dall’alto verso il basso” e “dal basso verso l’alto” si sono mantenute nello stesso processo di trasformazione per 14 anni e il rapporto conflittuale tra potere costituente e costituito è stato il motore del processo bolivariano. Nel suo piano di governo per il periodo 2013-2019, presentato durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 2012, Chávez ha affermato chiaramente «Non dobbiamo ingannarci: la formazione socioeconomica che prevale tuttora in Venezuela è di carattere capitalista e rentista». (14)
Per proseguire verso il socialismo, Chávez ha sottolineato la necessità di avanzare nella costruzione di consigli comunali, comuni e città comunali, e nello «sviluppo della proprietà sociale dei fattori e mezzi di produzione basilari e strategici». (15)
Il suo successore, Nicolás Maduro, si è impegnato a sviluppare il programma, e uno degli slogan centrali dei movimenti che hanno sostenuto la sua campagna elettorale è stato «comuna o nada».
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1. Antonio Negri, Il Potere Costituente (Carnago: Sugarco Edizioni, 1992), 382.
2. Roland Denis, Los fabricantes de la rebelión (Caracas: Primera Linea, 2001), 65.
3. Ministerio del Poder Popular para la Comunicación y la Información, Líneas generales del Plan de Desarrollo Económico y Social de la Nación 2007-2013, (Caracas: MinCI, 2007), 30.
4. MinCI, Líneas generales, 30.
5. Asamblea Nacional Dirección General de Investigación y Desarrollo Legislativo, Ejes Fundamentales del Proyecto de Reforma Constitucional. Consolidación del Nuevo Estado, (Caracas: AN-DGIDL, 2007).
6. Hugo Chávez, El Poder Popular (Caracas: Ministerio de Comunicación e Información, 2008), 38.
7. Dario Azzellini, Partizipation, Arbeiterkontrolle und die Commune, (Hamburg: VSA, 2010).
8. David Harvey, Space as a keyword, in David Harvey. A Critical Reader, ed. Noel Castree and Derek Gregory, (Malden: Blackwell, 2006).
9. Doree Massey, Concepts of space and power in theory and in political practice, Doc. Anàl. Geogr 55 (2009): 20.
10. Interview with Juan Carlos Baute. Presidente de Sunacoop, accessed January 16, 2009, sunacoop.gob.ve/noticias_detalle.php?id=1361.
11. Dario Azzellini, From Cooperatives to Enterprises of Direct Social Property in the Venezuelan Process, in Cooperatives and Socialism. A View from Cuba, ed. Camila Piñeiro Harnecker, (Basingstoke: Palgrave Macmillan, 2012): 259-278; Dario Azzellini, Economía solidaria en Venezuela: Del apoyo al cooperativismo tradicional a la construcción de ciclos comunales, in A Economia Solidária na América Latina: realidades nacionais e políticas públicas, ed. Sidney Lianza and Flávio Chedid Henriques, (Rio de Janeiro: Pró Reitoria de Extensão UFRJ, 2012): 147-160.
12. Dario Azzellini, De la Cogestión al Control Obrero. Lucha de clases al interior del proceso bolivariano, (PhD diss., Benemérita Universidad Autónoma de Puebla, 2012), 183-196.
13. Aurelio Gil Beróes, Los Consejos Comunales deberán funcionar como bujías de la economía socialista, accessed January 4, 2010, rebelion.org/noticia.php?id=98094.
14. Aurelio Gil Beróes, Los Consejos Comunales deberán funcionar como bujías de la economía socialista, accessed January 4, 2010, rebelion.org/noticia.php?id=98094.
15. Propuesta del Candidato, Chávez, 7.
Trad. dall'inglese per ALBAinformazione di Pier Paolo Palermo
Originale: The Communal State: Communal Councils, Communes, and
Workplace Democracy. NACLA, Vol. 2, No. 46, summer 2013. 25-30.
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