Estudiantes Expulsados
Berlino, parco di Treptow, monumento ai sovietici, passeggiamo in uno degli ultimi luoghi intatti del socialismo reale, il sacrario dedicato ai soldati dell'Armata rossa. Siamo circondati da enormi blocchi di granito su cui sono scolpiti la falce e il martello e decine di frasi firmate Stalin. Discutiamo con due studenti messicani della Unam [Universidad nacional autónoma de México], protagonisti, in questi mesi, della più lunga occupazione di una università, finita i primi di febbraio, dopo dieci mesi, con lo sgombero violento da parte della polizia. Lo sgombero fu preparato dai media messicani,e avevano descritto il movimento studentesco, e specialmente la sua rappresentanza, il Consiglio generale di sciopero [Consejo general de huelga, Cgh], come dogmatico e autoreferenziale, minoritario e isolato, prigioniero di faide interne ed ostaggio dei cosiddetti «ultra». Ricardo e Julia, membri del Cgh, che iniziano a Berlino un tour d'informazione e interscambio politico in una trentina di città tedesche, austriache e danesi, organizzato dal gruppo Fels [«Per una corrente di sinistra»], non corrispondono affatto all'immagine raccontata dai media. Analizzano, criticano e contestualizzano il movimento, parlano di errori loro, del ruolo degli intellettuali, del sistema politico e di esperienze personali. Come quella di Ricardo, sequestrato per alcuni giorni e torturato dalla polizia segreta messicana
La più lunga occupazione di una università raccontata e spiegata da due che l'hanno fatta
Julia Escalante de Haro ha 23 anni e frequenta la facoltà di giurisprudenza, Ricardo Cayetano Martínez ha 24 anni ed è della facoltà di scienze politiche. Ecco il loro racconto a due voci di un movimento ancora tanto vivo, da aver costretto il candidato del partito al potere, Labastida, ad annullare una sua manifestazione elettorale al Politecnico di Città del Messico, tali erano le proteste degli studenti.
Ricardo. Lo sgombero, l'irruzione violenta della Polizia federale preventiva, corpo militare e poliziesco di recente creazione, è stato un duro colpo, ma non ha indotto a rinunciare alla mobilitazione. Noi vogliamo ottenere educazione pubblica gratuita e democratizzazione degli organi di governo. Questi due temi si sintetizzano in sei punti finora non soddisfatti. Perciò non rinunciamo al movimento e alle nostre forme di organizzazione. Oggi il movimento conduce azioni di resistenza e di contatto con settori interni all'università e anche all'esterno.
Julia. Ci sono compagni ancora in prigione. Sono accusati di delitti considerati gravi, come ad esempio questo nuovo reato, creato dopo le riforme del codice penale: la «pericolosità sociale». Negli anni Sessanta c'era la «dissoluzione sociale», ora la «pericolosità sociale». È un reato del tutto soggettivo, ad arbitrio del giudice, non necessariamente collegato a fatti gravi. Sui nove ancora detenuti non pesano imputazioni gravi. Alcuni di loro sono accusati di furto, in qualche caso furto aggravato. Tutto è nelle mani dei giudici e, naturalmente, del governo. Loro possono raccogliere o fabbricare tutte le prove che vogliono.
Ricardo. Col movimento studentesco il governo ha usato sin dall'inizio la tattica di togliere l'acqua al pesce, di assediarlo con un'informazione massiccia, per farlo apparire estremista e intransigente. Si è diffusa così l'opinione che il movimento non ha rivendicazioni giuste né metodi corretti. Insomma, una tattica violenta, ispirata soprattutto dall'attuale candidato alla presidenza, Francisco Labastida Ochoa, il quale usa gli stessi metodi già applicati in Chiapas, quelli della guerra di bassa intensità: nel nostro caso, guerra psicologica fatta di minacce, repressione selettiva, sequestri di persona, attacchi a compagne e anche morti «accidentali». Questi meccanismi repressivi hanno spinto il movimento a radicalizzarsi. Il governo ha rinunciato al dialogo con due obiettivi: farla finita col movimento, perché non sia di ostacolo alla corsa alla presidenza del suo candidato ufficiale; imporre una politica neoliberista nel campo dell'educazione e creare un precedente in America latina: tasse universitarie elevate, accesso solo per i più abbienti, criteri restrittivi per l'accesso all'istruzione superiore, metodi autoritari degli organi decisionali dell'università.
Julia. Nel nostro paese l'istruzione è un diritto sociale conquistato grazie alla rivoluzione e ai movimenti sociali. I progetti neo-liberisti e le imposizioni degli organismi internazionali non colpiscono solo gli studenti ma il popolo in generale. E il problema non riguarda solo l'università ma tutto il sistema educativo nazionale. L'insufficiente qualità fin dall'istruzione elementare e poi media e superiore non ha cause culturali, ma è la conseguenza di una politica economica. Il Messico è un paese giovane, la domanda d'istruzione superiore non è mai stata così alta. Ma con il Nafta [il Trattato di libero commercio tra Messico, Usa e Canada, ndr.] si obbliga il Messico all'omogeneizzazione della conoscenza, ma in realtà il professionista messicano è svantaggiato rispetto a quello degli Usa o del Canada. Noi riteniamo che l'imposizione della tassa d'iscrizione sia il primo passo verso la privatizzazione dell'università. Il passo successivo è lo smebramento dell'università. È un meccanismo di privatizzazione, oltre che di atomizzazione di movimenti sociali. Mantenendoci tutti in qualche modo indipendenti vogliono impedire la coesione di ogni movimento; in seguito, con il pretesto che lo stato non ha le risorse sufficienti per continuare a sostenere l'università di qualità, si fa la privatizzazione. Privatizzazione non vuol dire che un capitale in particolare acquisterà l'Unam, ma che il processo formativo viene orientato a soddisfare le esigenze del capitale internazionale e nazionale, a risolvere i problemi di mercato, lasciando da parte questioni sociali come la disoccupazione, l'analfabetismo o il livello di sussistenza dei messicani.
Ricardo. Il movimento riesce a tenere rapporti aperti con la società civile. C'è un grande simpatia tra le donne di casa, tra i giovani che non sono studenti e in alcuni sindacati. Esiste una alleanza con il sindacato dei lavoratori dell'Unam e con vari altri movimenti politici e sociali. Però bisogna anche capire meglio cos'è stato il movimento e rifare un lavoro di base con tutti gli studenti che hanno appoggiato lo sciopero e poi lo hanno lasciato per vari motivi. Poi, si sono creati collegamenti con organizzazioni di artisti come il Cleta [Centro di sperimentazione teatrale e artistica] che è sempre stato con il movimento. Gli intellettuali di sinistra, però, si sono avvicinati al movimento in maniera parziale. Abbiamo avuto con loro alcuni dibattiti, e c'è stata «la proposta degli emeriti», in cui docenti e intellettuali di grande rilievo, che hanno appoggiato in alcuni momenti i movimenti sociali come lo zapatismo, hanno messo in discussione posizioni distinte. Però non si è risolto nulla. Gli intellettuali di cui parlo sono professori come Adolfo Sánchez Vásquez, un esiliato spagnolo che vive in Messico, marxista e docente nella facoltà di filosofia. Tuttavia, la maggioranza degli intellettuali non ha avuto alcun dibattito con il Cgh. Non credo che ciò sia dovuto solo alle loro responsabilità ma anche al movimento che, in qualche modo, non si è sforzato nel creare canali per dibattere con loro.