Con l’internazionalismo intorno al globo
“I compagni stranieri possono essere un aiuto inestimabile”
Author: rotaprint 25 (Hg.)
Publisher: Assoziation A
Published in 2006
Traduzione inedita di Ilaria Tiddi e Dario Azzellini del testo „Die ausländischen Genossen können unschätzbare Dienste leisten“ Mit dem Internationalismus rund um den Globus
Tematiche internazionali (il riferimento e le cronache delle lotte negli altri Paesi) si trovano in più di due terzi delle edizioni dell’Agit 883. L’astratto internazionalismo del movimento studentesco si mise, infatti, alla ricerca di un modo pratico per potersi inserire nella “lotta all’imperialismo USA” di tutto il mondo. L’Unione Sovietica e i Partiti Comunisti occidentali a essa fedelmente legati non furono chiaramente intenzionati a farlo. La nuova Sinistra rivoluzionaria era convinta che “gli interessi per la sicurezza e per la pace della politica della coesistenza dell’Unione Sovietica avrebbero portato a tradire la Rivoluzione vietnamita” (40,8 v.13/11/69).
Ben presto spuntarono sul giornale i ritratti e gli slogan di Che Guevara e Mao Zedong (allora scritto “Mao Tse-Tung”). Tutte le redazioni dell’Agit 883, ad eccezione dell’ultima, favorirono l’internazionalismo militante del Guevarismo e del Maoismo alla politica della coesistenza dell’URSS. Le attività di guerriglia e le lotte autonome di lavoratori in altre parti del mondo furono di grande esempio per l’Agit 883.
Avanzò così la critica ai Partiti Comunisti e ai sindacati, i quali tentavano di incanalare nuovamente l’auto-organizzazione di tutti i lavoratori e le loro lotte pratiche su delle “corsie ordinate”, per poi infine tradire gli interessi degli stessi.
Un lungo viaggio portò il giornale intorno al globo e così si ritrovano sulle pagine di Agit 883 una gran quantità di organizzazioni di liberazione oltre alla famosa Black Panther Party e i gruppi palestinesi.
Breve sociologia dell’internazionalismo
I contributi dell’internazionalismo riportarono avvenimenti e dibattiti nei seguenti Paesi: accanto alla maggior parte degli articoli che riguardavano USA/Vietnam, Italia e Francia, si parlò anche di Olanda, Vietnam, Cambogia, Ceylon (Sri Lanka), Bangladesh, Israele, Palestina, Polonia, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Svizzera, DDR, Turchia, Argentina, Cile, Spagna, Paesi Baschi, Brasile, Angola, Mozambico, Guinea-Bissau, Belgio, Inghilterra, Scozia, Irlanda del Nord, Grecia, Indonesia, Congo, Giappone, Guinea e Laos.
Anche se alcuni testi dovevano essere debitori alle coincidenze e alla variopinta composizione delle redazioni, non pochi si situavano nel contesto di azioni e dimostrazioni che avvennero. Spesso si trovarono riferimenti diretti al ruolo della RFT e ai suoi interessi nel conflitto del momento, ciò anche nei testi sulle lotte anticolonialiste in Africa.
L’internazionalismo della rivista si mosse in una tensione continua tra, da una parte invitare al sostegno delle lotte in altri paesi e dall’altra di mettere in risalto il loro ruolo esemplare per la prassi nella RFT metropolitana. Una discussione nella Sala Audimax dell’Università Tecnica di Berlino sulla situazione in Grecia sotto la dittatura militare, fu tenuta non solo presentando temi quali “retroscena del fascismo” e “ruolo dell’imperialismo americano e della Nato”, ma anche sollevando la questione “che cosa si aspetta la resistenza greca dai suoi amici tedeschi?” (10,6 v. 17/04/69).
In un articolo sui sindacati di base clandestini nati nella Spagna franchista fu detto, tra le altre cose, che “soprattutto i compagni stranieri possono essere di un inestimabile aiuto, se questi [...] in qualità di turisti [...] portano scritti proibiti nel nostro Paese” (12, 4 v. 1/5/69). Anche se alla base del resoconto c’era una problematica divisione di compiti tra lavoratori/lavoratrici e studenti/studentesse; veniva indicato come anche gli studenti, dal canto loro, nella lotta di classe potessero porsi soggettivamente dalla parte della “classe in lotta”, al di là della loro appartenenza a una classe sociale non tematizzata. Sembrò che qualcuno parlasse per propria esperienza: servizi di messaggeria, oppure mettere a disposizione i passaporti per rendere possibile l’entrata e l’uscita dal Paese a compagni e compagne clandestini, erano allora frequenti azioni di solidarietà. Questo valse non solo per la Spagna, ma anche per la Grecia e il Portogallo.
Le occasioni preferite per le manifestazioni internazionaliste erano naturalmente le visite di Stato. “Suharto: un Hitler indonesiano”; così s’intitola un breve resoconto sulla visita del dittatore, che venne annullata per paura delle proteste. Suharto è “il principale responsabile delle terribili stragi che sono state superate solo dai crimini nazisti del Terzo Reich” (20,3 v. 26/06/69). Dopo la presa di potere nel 1965 (con il sostegno degli USA), sotto il suo regime furono uccisi in una “Notte dei lunghi coltelli” oltre un milione (!) di persone. Il più grande Partito comunista al di fuori degli Stati realsocialisti fu completamente soppresso in un bagno di sangue. In seguito, il governo degli Stati Uniti approvò anche l’occupazione di Timor Est. Con parole forti l’Agit 883 proclamò: “E’ perciò compito dell’APO chiarire che in questo caso non ci fermeremo alle dimostrazioni, ma che nell’ambito della solidarietà rivoluzionaria con i gruppi progressisti indonesiani provvederemo alla fucilazione del terribile Suharto” (20,3 v. 26.6.69). Dato che però ciò non si mise in pratica, Suharto purtroppo poté anche andare a pesca con il suo amico Helmut Kohl fino agli anni ’90.
Contro la guerra del Vietnam e per la resistenza dei G.I.
Il tema Vietnam comparve negli Agit 883 sorprendentemente tardi. Il primo articolo uscì alla fine dell’agosto 1969 e proveniva dal collettivo socialista svizzero d’azione di Berlino Ovest, il quale raccontava del divieto di entrata nel Paese per i rappresentanti del Movimento per la liberazione del Vietnam del Sud Front national de Libération du Viet-Nam Sud (FNL) e della “complicità” della Svizzera nella guerra degli USA (v. 29, 4 v. 28/08/69). Un paio di mesi dopo, nel dicembre 1969, si trova per la prima volta un articolo sulla resistenza dei G.I. nella RFT. Con il titolo “Sostieni la resistenza G.I.” si riferì di diverse forme di protesta e di resistenza all’interno delle forze armate, che passavano dalla produzione di riviste illegali, alla diserzione e alla fucilazione di ufficiali. L’articolo terminava con l’appello: “Ogni dimostrazione per il Vietnam dovrebbe avere degli slogan che esprimano solidarietà con i G.I. nella loro battaglia contro gli ufficiali e contro la guerra. Così si chiarisce che la campagna per il Vietnam non è antiamericana, bensì antiimperialista” (44,9 v. 11.12.69). Occorse qui una svolta nelle cronache sulla guerra del Vietnam: se prima quasi tutti gli articoli fossero sul FNL o i crimini USA, da allora il maggior numero di articoli (fin all’ultima rivista) fu incentrato sulla resistenza G.I.
Alla fine del maggio 1970 un anonimo spiegò: “Ogni strategia contro l’esercito USA a Berlino Ovest deve partire dalla situazione dei G.I. Le azioni non possono consistere in offensive alla cieca, ma devono tenere conto delle contraddizioni nell’armata, ed essere almeno comunicabili a quella parte dei G.I. che è contro la guerra imperialista” (61,9 v. 22/5/70). In questo contesto furono riportate anche la notizia di una rivolta nella prigione militare statunitense a Mannheim, così come di una repressione della polizia contro la distribuzione della rivista dei G.I. Up Against the Wall a Berlino (cfr. 54,6 v. 23/3/70).
Durante le grandi dimostrazioni anti-guerra del Vietnam a metà del novembre 1969 s’inasprì il dibattito sull’internazionalismo. In un testo d’invito a un Teach-in si leggeva: “La rivoluzione vietnamita potrà solo essere vittoriosa se i compagni dei Paesi capitalisti impareranno dall’internazionalismo pratico dei Vietnamiti ad accelerare la rivoluzione nel proprio Paese e orientare la loro politica in modo internazionalista [...]. I lavoratori e gli apprendisti l’hanno già capito: presso la Vereinigte Flugtechnische Werke (VFW) di Brema si rifiutarono di costruire per il Pentagono i contenitori per il napalm. I lavoratori del cantiere presso la Blohm&Voss sabotarono con successo la costruzione dei cacciatorpedinieri che sarebbero dovuti essere consegnati al Portogallo per reprimere la lotta per la liberazione dei compagni in Angola e Guinea” (38,10 v. 30/10/69).
Contrariamente alla stampa borghese e quella dell’opposizione liberale alla guerra (ma anche ai numeri precedenti dell’Agit 883) che visualizzavano le sofferenze della popolazione vietnamita, erano ora pubblicate illustrazioni di combattenti vittoriosi/e in azioni di guerra.
La dimostrazione per il Vietnam nella Berlino Ovest del 13 dicembre 1969 avrebbe dovuto tuttavia mettere in moto un conflitto tra internazionalismo “astratto” e “diretto”. In una lettera per il FNL, presumibilmente redatta dal Comitato per il Vietnam, fu data l’impressione che massicce, militanti, risolute azioni di lavoratori e studenti si erano imposte sotto ogni aspetto contro la polizia: “Invano la polizia fascista ha tentato di allontanare i dimostranti con brutali aggressioni [...]. La polizia ha subito gravi perdite” (45,8 v, 18/12/69).
Dall’altra parte il Comitato per il Vietnam criticava, definendolo come “cinismo contro i compagni vietnamiti e i compagni Black Panther”, l’atteggiamento verso il lavoro internazionalista, che “[guardava al]la solidarietà internazionale e [al]le azioni a essa connesse unicamente ponendosi la domanda se rafforza o no l’organizzazione esistente” (45,2 v.18/12/69).
Nel numero successivo, a metà del gennaio 1970, è possibile trovare una “autocritica dell’883” sulla pubblicazione di entrambe le prese di posizione. Sicuramente, per delimitare il Maoismo che veniva costituendosi come partito, l’Agit 883 avanzò la critica che riusciva visibilmente troppo facile a “alcuni compagni [sop]piantare oggi [con] un astratto internazionalismo ‘proletario’, l’internazionalismo astratto e idealista che, invece, per il movimento studentesco, possedeva delle importanti funzioni dal punto di vista storico”. Fu rinfacciato al Comitato che in una lettera “pateticamente vuota” al FNL, “il grado nella militanza è stato alterato in modo euforico [...]. Un tale internazionalismo, che, in modo poco dialettico e con un adattamento ipocrita allo stile linguistico prefissato, dimentica l’informazione sostenuta dalla dialettica per i compagni stranieri e la sostituisce con futili verdetti, è condannato a insabbiarsi” (46,11 v.15.11.70).
Questa discussione sulle diverse concezioni dell’internazionalismo avrebbe accompagnato la rivista anche nel futuro.
America Latina e guerriglia urbana
Trascorsero sei mesi prima che l’Agit 883 si occupasse per la prima volta dell’America Latina. In un articolo di sintesi sulla “funzione del Capitalismo USA in America Latina” pubblicato alla fine del luglio 1969, l’autore spiegò, dopo aver elencato la serie degli interventi USA e gli interessi (imprenditoriali) correlativi, che questi avevano l’intenzione “di rafforzare i rapporti feudal-fascisti in America Latina”. L’unica alternativa, secondo l’autore, sarebbe tuttavia “non la politica ufficiale della maggior parte dei Partiti Comunisti latinoamericani che Fidel Castro chiama ‘Chiese impotenti’, bensì la sola lotta armata, l’azione diretta e immediata. L’obbligo dei rivoluzionari latino-americani non consiste nell’aspettare che il cambiamento nei rapporti di forza produca il miracolo della rivoluzione sociale, [consiste] altresì [...] nel FARE LA RIVOLUZIONE” (25,10 v.31/7/69).
La critica ai partiti comunisti, il favorire le “azioni dirette” e le lotte armate che bisognava costituire dappertutto secondo i principi della Dottrina del Focolaio, ricadde su terreni fertili (Schubert 1971; Marenssin/ Zahl 1977). Ci sarebbe voluto però ancora un po’ di tempo prima che ciò occupasse le colonne della rivista, a parte di un numero speciale fine dell’ottobre 1969, la cui prima pagina rappresenta Fidel Castro con un grosso bue. Satiricamente si dice: “Viva Cuba! Creiamo anche buoi rivoluzionari!” (“Bullen”, buoi, in tedesco significa anche “sbirri”).
Dibattiti e saggi sul Sudamerica e sulle strategie di guerriglia aumentarono notevolmente nel corso del 1970. Per lo più si cercava di mostrare che la lotta armata sarebbe potuta diventare pratica: con l’aiuto, ad esempio, di brevi cronache come quella di Trinidad, dove i militari rivoluzionari ammutinati avevano occupato un deposito d’armi e avevano intrapreso la guerriglia insieme a studenti e operai (cfr. 58,4 v.1/5/70). L’esempio più importante erano però i Tupamaro in Uruguay (non solo per il nome dei Tupamaros Berlino Ovest). Un breve articolo di Carlos Nunez (in realtà Nuñez) tratto dalla rivista cubana Tricontinental rappresentò a metà gennaio 1970 la strategia dei “Tupas”: “Secondo la teoria del Che anche i Tupas ora hanno capito che il focolaio rivoluzionario può creare premesse sia oggettive sia soggettive per una situazione rivoluzionaria. Tramite la crescente repressione inizia, quindi, una radicalizzazione da parte delle persone coinvolte; la violenza proletaria produce linee chiare” (50,8 v.19/2/70). L’organizzazione di una guerriglia metropolitana sembrava una scelta possibile anche per l’Europa. Furono così riportate le azioni dei Tupas per la liberazione di prigionieri (cfr. 56,8 ss. v. 16/4/70), così come le azioni per procurarsi soldi o armi (cfr. 59, 4 v. 7/5/70). L’articolo “Tupamaros, istruzioni per l’assalto di un presidio” descrisse l’aggressione notturna a una caserma nel centro della città di Montevideo, in cui si fece bottino di una notevole quantità di armi e munizioni (71, 8 v. 15.11.70).
I frequenti contributi sul Guatemala nei numeri 50 a 59 sono da attribuire all’attenzione pubblica che aveva risvegliato il rapimento dell’ambasciatore tedesco in Guatemala, Graf Spreti, da parte delle Fuerzas Armadas Rebeldes (FAR). “Il nostro uomo in Guatemala” fu qui descritto come rappresentante di ultradestra dell’Imperialismo della RFT, che non solo aveva fatto parte della Wehrmacht “dal 1939”, ma che era stato anche “dalla prima ora [...] membro della CSU” e aveva assicurato gli interessi della Germania “come secondo più importante partner commerciale del Guatemala” (56,6 v.16/4/70).
Anche nelle pubblicazioni successive comparse una serie di articoli sulla lotta armata in America Latina. Aumentarono a mano a mano con l’influsso crescente dei “maoisti movimentisti” (l’ambiente da cui nacque anche la RAF della Germania Federale). Fu pubblicato un comunicato di due gruppi guerriglieri rurali brasiliani che descriveva la repressiva situazione in Brasile e riferiva come trenta guerriglieri, che stavano ancora svolgendo il loro addestramento, avevano sfondato un accerchiamento di 20.000 soldati, uccidendone dieci e facendone diciotto prigionieri. Le conclusioni tratte furono ovviamente vantaggiose: “In Brasile la guerriglia popolare è imbattibile” (63,2 v. 18/6/70). Il messaggio sembra chiaro, anche perché questo tipo di notizie non lasciava neanche immaginare la breve durata della “imbattibilità”.
A metà del giugno 1970 furono pubblicati degli estratti con il titolo Guerriglia Urbana dal “Piccolo manuale della guerriglia urbana” del brasiliano Carlos Marighella (cfr. 63,4 ss. v. 18/6/70). Il manuale completo poteva essere riletto sul Sozialistische Politik (no. 6/7 del giugno 1970), una rivista pubblicata dal Collettivo di redazione dell’Istituto di scienze politiche Otto Suhr della Freie Universität di Berlino, dove appariva accanto ai testi di Christel Neusüß, Joachim Bischoff ed Elmar Altvater. Il che dimostra chiaramente che l’interesse per tali dibattiti allora non era limitato solo a piccoli circoli.
In un’intervista documentata nello stesso numero dell’Agit 883 Marighella, ucciso dalla polizia a San Paolo il 4 novembre 1969, aveva spiegato: “Non c’è dubbio, l’organizzazione che porterà la rivoluzione alla vittoria, può essere compiuta solo come risultato della battaglia”. Sicuramente non per caso la citazione fu scelta anche come titolo (63,9 v.18/6/70).
Le concezioni di guerriglia urbana dall’America Latina esercitarono un decisivo influsso sulla nascita e la motivazione della RAF. Nel suo scritto “Das Konzept Stadtguerilla” [Il concetto guerriglia urbana] – dal punto di vista istruttivo è il testo più analitico della loro storia – pubblicato sull’Agit 883 nel maggio 1971, si legge: ”Il concetto di guerriglia urbana deriva dall’America Latina. E’ la ciò che solamente può essere anche qui: il metodo d’intervento rivoluzionario in generalmente deboli forze rivoluzionarie” (82, Supplemento 11 v. 11/5/70).
Un vero e proprio dibattito non ebbe tuttavia luogo fino al numero di Natale del 1970. L’impulso lo diede una relazione delle Cellule Nere su un Teach-in di solidarietà per le Black Panther, in cui le Cellule si mostravano saldamente convinte che la futura “lotta [...] sarebbe proseguita sempre più militante e ovviamente armata” e non solo quindi “[avrebbe posseduto] una funzione se l’apparato armato fosse arrivato a un determinato stadio del processo rivoluzionario per essere parte dell’apparato politico delle masse”. E’ quindi “nostro obbligo, iniziare già da oggi l’apprendimento nella lotta armata, poiché uno studio troppo tardivo ci porterà migliaia e migliaia di morti e feriti e forse campi d’internamento, di concentramento e torture”. Contro di ciò si schierò una pagina dopo “la maggioranza della redazione”. Non si poteva “scambiare con identificazioni romantiche la situazione negli Stati feudal-fascisti del Sudamerica e la situazione nei paesi del capitalismo altamente industrializzato” (73,6-10 v. 24/12/70). Le posizioni delle cellule nere, “[con cui] s’identificava una minoranza della redazione dell’883” furono designate come “analisi troppo poco pensate e chiacchiere radicali”. Con ciò “[non] è efficace” quindi, portare avanti la “lotta necessaria contro i maiali e contro questo Stato”. La maggioranza della redazione annunciò: “Nei prossimi numeri dell’883 la discussione sarà portata avanti”. Nonostante ciò non ci fu nient’altro in proposito.
Potere operaio in Italia
Nel corso del novembre 1969 le lotte autonome sul lavoro in Italia attirarono l’attenzione dell’Agit 883. In un lungo articolo sul capitalismo italiano fu introdotto il tema del ruolo dell’Italia meridionale e delle lotte della classe operaia (soprattutto presso la FIAT di Torino) con il titolo: “Come mai in Italia la rivoluzione è all’ordine del giorno?”. Il Partito Comunista Italiano (PCI) fu designato come “revisionista” mentre il sindacato del PCI, la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) fu definito come “strumento di lotta miticizzato”, nonostante il partito “è quell’organizzazione della classe operaia italiana che insieme alla CGIL [...] produce la coesione delle lotte economiche organizzate a livello nazionale e con ciò prepara il terreno per le lotte politiche ancora localizzabili”. Eppure: “Il Partito revisionista [...] non raggiunge le masse con le sue pretese di unità, unità, unità. [...] La classe combattente, che non ha bisogno di nessun’ organizzazione che le si accolli e che sottovaluti la sua forza, ha spesso preso da sola l’iniziativa durante la lotta. La classe operaia combattente italiana, ricca di esperienze con gli apparati revisionistici del Partito (dopo la fine della prima guerra mondiale con la socialdemocrazia, oggi con il PCI) deve combattere la sua patologica, ma pur sempre spiegabile, avversione per l’organizzazione e la burocrazia, la quale è trasformata dal movimento studentesco italiano e da alcuni gruppi proletari nella “teoria” dell’adorazione della spontaneità. [...] Solo con il Partito rivoluzionario proletario, che si trova saldamente sul suolo del marxismo-leninismo, la classe operaia si costruirà il potente strumento per il crollo della dittatura della borghesia e per l’istituzione della dittatura democratica del popolo” (39, 4-7 v.6/11/69).
Il contributo anonimo può certamente essere attribuito a un gruppo precursore del KPD/AO fondato nella metà del marzo 1970 o a un altro gruppo marxistaleninista. Per loro, il PCI non poteva essere il “vero” partito operaio. Un avvicinamento alla Nuova Sinistra e alle nuove lotte operaie autonome al di là dei sindacati non avvenne (erano proprio i giovani operai dal sud, che si ribellavano e rifiutavano l’etica del lavoro del PC).
Osservandolo da oggi si può affermare che l’Agit 883 per troppo tempo fece affidamento su fonti sbagliate nelle questioni sull’Italia. La corrispondenza era saldamente nelle mani delle Sinistre maoiste orientate sul partito. L’Agit 883 perse in questo modo l’occasione di descrivere le varie lotte auto organizzate ed esperienze nelle fabbriche e di analizzarle adeguatamente. Al posto delle numerose iniziative operaiste e antistaliniste, per lo più nell’ambiente di Potere Operaio (Pot.Op., organizzazione della quale, tra gli altri, facevano parte Toni Negri e Mario Tronti, e dalla quale nacque l’Autonomia Operaia), ai lettori dell’Agit 883 furono presentate le spiegazioni astruse dell’organizzazione di quadri Unione dei Comunisti (organizzazione marxista-leninista di orientazione maoista, abbreviato: UNIONE) (cfr. Moroni/Balestrini 1994; Wright 2005). Quando l’Agit 883, nella metà del dicembre 1969, pubblicò la presa di posizione dell’Unione e quella di Potere Operaio, la redazione rimproverò che “l’Unione [...] rappresenta con le sue spiegazioni la linea corretta [da seguire]”, mentre a Potere Operaio veniva fatta la paternale. “Potere Operaio, di fronte ai tre compagni dell’Unione che sono stati condannati a nove mesi di prigione dall’apparato statale italiano, non ha proferito neanche una parola di solidarietà. Se quest’atteggiamento sia da ricondurre alla confusione ideologica, allo sciovinismo di gruppo o all’insicurezza organizzativa, è piuttosto privo d’interesse.”
Più interessante per la redazione del giornale sembrava essere piuttosto, l’inno dei “Compagni di Francoforte” all’istituzione di un altro partito di quadri autoritario e maoista, che questi avevano “scritto dopo aver partecipato a una scuola per quadri dell’UNIONE a Milano”. La prosa riportata sulla costruzione del Partito parlò per se stessa: la direzione nazionale dell’UNIONE “assume nelle sue mani la guida ideologica ed elabora le giuste direttive politiche per i singoli gruppi”. E “si può diventare membri del Partito solo se ci si è dimostrati col proprio lavoro pratico, di essere capaci di rivestire una posizione di spicco. Bisogna essere riconosciuti dalle masse come guida, essere accettati ed essersi mostrati veri comunisti”. Per ciò che riguardò la funzione “degli elementi rivoluzionari del proletariato femminile”, la ripartizione dei ruoli fu nettamente definita. Poiché soprattutto le donne “che non fanno parte del processo di produzione, esercitano sugli uomini un’influenza conservatrice e che ostacola il lavoro rivoluzionario”, il compito della “Organizzazione femminile” consistette nel trasformare questa influenza in una che “promuova il lavoro politico”. Partendo da quest’analisi il posto delle donne dal punto di vista dei maoisti era facile da definire: “Gli asili comunisti saranno organizzati e diretti dalle donne rivoluzionarie” (45, 4-6 v.18/12/69).
Anche l’attentato terroristico alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, commesso a metà del dicembre 1969 a piazza Fontana dai fascisti e dai servizi segreti, in cui morirono quindici persone (cfr. Azzellini 2002, 37-52) e che l’Agit 883 paragonò in modo non totalmente erroneo all’incendio del Reichstag, fu commentato con la pubblicazione di due lunghi testi dall’Organo dell’UNIONE “Servire il Popolo”. Secondo l’UNIONE il massacro era stato organizzato con un semplice proposito: “La borghesia vuole impedirci di indire con successo il Congresso di fondazione del Partito Comunista Italiano (ML) che noi stiamo preparando”. E non è tutto: Si vuole impedire “al nostro partito” di “confermarsi definitivamente come vessillo unificante di tutti i veri comunisti e gli autentici rivoluzionari” (46,4 v. 15/1/70).
Gli anarchici, ai quali fin dall’inizio era stata addossata la colpa per questa provocazione da parte dello Stato italiano, comparirono sì sulla prima pagina dell’Agit 883, ma non furono nominati nei testi. Si sarebbe dovuto aspettare cinque mesi prima che qualcuno si facesse coraggio nel giornale, per pubblicare almeno i nomi di entrambi gli anarchici accusati dell’attentato: Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda. Pinelli era stato spinto fuori dalla finestra dalla Polizia durante un interrogatorio e così assassinato, mentre Valpreda era stato condannato per l’attentato a una lunga reclusione che fu annullata solo nel 1984 (cfr. 58, 9 v.1/5/70).
A questo punto l’Unione non aveva più amici nella redazione dell’Agit 883. Eppure non tutti nella redazione sembravano convinti delle lotte in Italia. “Perché i compagni italiani non intraprendono nessuna azione offensiva contro la struttura feudale famigliare e le fortezze medioevali ecclesiastiche? [...] I compagni italiani negarono l’esistenza di questo problema in un modo troppo nevrotico. [...] Presto fu evidente che essi rinnegano queste corde intorno al collo del popolo, solo perché quasi ogni compagno in Italia ha a sua volta la sua testa e il suo cazzo avvolto da questi cappi [...]. Quelle checche dell’Unione completamente svitate (la repressione sessuale gli è stata incisa sul viso dalla famiglia e dai suoi tipi di merda [...]), rilasciavano spiegazioni di pastafrolla…”. E così i compagni tedeschi spiegarono su due piedi agli italiani il giusto cammino da intraprendere: “Nessuno sciopero generale porterà l’Italia alla rivoluzione, se allo stesso tempo tutte le chiese e i palazzi vescovili non saranno incendiati” (58,9 v. 1/5/70).
Oltre a questa forte sbandata omofoba seguì allora un avvicinamento alle posizioni operaiste. All’inizio del giugno 1970 fu pubblicato il volantino “Consigli in Italia” dei “delegati operai” della FIAT, che esortava a utilizzare lo sciopero e l’occupazione della fabbrica come punto di partenza per un controllo operaio ampio. L’articolo “Lotte in Italia: la lotta di classe” riferiva di scioperi e proteste guidati dal PCI, che avevano adottato il modello dei delegati dei lavoratori, e che erano sfuggiti al controllo sindacale. Eppure sarebbe stato “ancora presto per vedere nei delegati già un’organizzazione autonoma della classe operaia ”. (62, 9 v. 5/6/70).
Ma già nel prossimo numero dell’Agit 883, con i maoisti movimentisti che avevano preso il controllo, il fuoco –anche se non percepibile a prima vista- si era nuovamente spostato. Fu pubblicato “Qualcosa a proposito del modus operandi del Collettivo Politico Metropolitano di Milano, Italia” (CPM), un documento sul concetto del CPM come struttura a rete tra tutti gli attivisti, che concentravano le loro azioni in modo strategico. Dal CPM nacquero in seguito anche le Brigate Rosse. La pubblicazione del documento era inserita in discussioni condotte sull’Agit 883 a proposito della preparazione della lotta armata. Questo dibattito fu accelerato soprattutto dai “ribelli comunisti” che allora avevano preso la direzione della redazione (cfr. 63,6 v. 18/6/70). La sigla Sinistra Proletaria era anche il nome della rivista da due a quattro pagine del CPM, il quale dal luglio 1970 si presentò sotto questo nome. Nello stesso momento ebbero luogo le prime azioni delle Brigate Rosse. L’immagine della sigla servì qui tuttavia solo come materiale grafico, poiché il contributo sulle strutture dei delegati degli operai presso la FIAT, al quale è affiancata la scritta, era stato tratto dal fascicolo mensile del gruppo “il manifesto” che era stato espulso dal PCI. Dopo un nuovo cambio di redazione il successivo resoconto sull’Italia fu segnato dagli articoli sulla repressione e sull’anarchico Pietro Valpreda.
“Dinamite sotto il culo della borghesia”: maoismo di movimento e di partito
Il Maoismo fu utile a diverse redazioni per prendere le distanze dal socialismo “revisionista” dell’Unione Sovietica. Accanto alla critica incessante alle posizioni da PC si manifestò anche citando frasi e pubblicando immagini di Mao. Per due correnti il riferimento a Mao andava oltre un semplice distanziamento dai tradizionali Partiti Comunisti: Per i “maoisti di partito”, che poi fondarono la KDP/AO, e per i “maoisti di movimento”. Mentre i primi si dedicavano intensivamente alla costruzione del Partito, per preparare accuratamente la transizione verso la guerra del popolo che in un futuro avrebbe avuto luogo, i maoisti di movimento propagandavano l’inizio immediato di azioni armate.
I maoisti di partito ripresero i dibattiti sulla solidarietà praticata già in un lungo articolo “Imperialismo e terrore”, che metteva in guardia dalle azioni “golpiste e avventuriere” dando l’esempio dell’Armata Rossa Giapponese, colpita dalla dura repressione. La guerra del popolo sarebbe finita in un disastro, se non si fosse ancorata nelle masse. L’idea del governo francese, di “rimuovere dopo la ribellione di maggio le sue truppe dalla Germania per usarle nei centri di sciopero”, così come “la necessità di dover ricorrere a una capacità di produzione di capitalisti stranieri”, sollevò la questione se il settore di trasporto e produzione non potrebbe essere paralizzato con azioni di blocco: “I gruppi terroristici che lavorano isolatamente avrebbero potuto risolvere uno dei due problemi?” (42, 4-5 v. 27/11/69). A metà gennaio del 1970 si lamentò che “né la SDS né nessun altro gruppo si sia attribuito pubblicamente il ruolo di guida all’interno del movimento di sinistra” (46,7 ss. v. 15/1/70). La prosecuzione annunciata di questo dibattito non ebbe però luogo. Il KPD/AO fondato a metà del marzo 1970 annunciò pubblicamente nelle sue tesi per la creazione provvisoria del Partito Comunista la sua pretesa di dirigere la sinistra (cfr. RPK 56, 57 v. 13/3/70).
Questa evoluzione fu seguita sicuramente con attenzione dai maoisti di movimento nell’Agit 883. Il culmine del loro influsso nel giornale lo raggiunsero tra il maggio e l’agosto 1970, quando la resistenza internazionale contro l’ampliamento della guerra in Cambogia ordinata dal governo di Nixon all’inizio di maggio mise le ali alle loro fatiche. Dopo che era stata fondata la RAF il 14 maggio 1970, in seguito alla liberazione di Andrea Baader, il numero 61 ornò la prima pagina con una stella a cinque punte in un cerchio, intorno cui si trovavano raggruppati i nomi di El Fatah, Tupamaros, Black Panther, Weatherman e Vietcong (cfr. 61,1 e l’articolo “Terra dei Supermaiali” di Michael Hahn in questo libro). Se è vero che non si riuscì, come annunciato, a ostacolare la parata militare USA a Berlino, le forze armate furono comunque costrette a sfilare passando accanto a un gigantesco ritratto di Mao appeso alla TU. L’immagine, presa da una foto della DPA, mostrava la scena in una variante fumettistica con una parata di maiali che marciano (vedi immagine di apertura). Nello stesso numero due contribuiti abbozzavano la situazione dei maoisti in Francia, i quali erano in intesa con la loro organizzazione Gauche Proletarienne (“Sinistra Proletaria”) “[per] unire la lotta politica con la lotta militare”; in questo Paese le “iniziative delle masse” avrebbero assunto “sempre di più la forma di guerre partigiane”. Di fronte all’atmosfera rivoluzionaria e al partito comunista francese riformista e i suoi sindacati era dunque compito dei comunisti mettere in conto “due armi: la lotta violenta dei partigiani come anticipazione della lotta del popolo e la propaganda fra le masse” (62, 4 v. 5/6/70). Con il numero successivo i maoisti di movimento (coerentemente all’ambito della loro ideologia-avanguardia) assunsero il potere nel giornale con un putsch. La redazione dichiarò che ognuno dei suoi collaboratori aveva “il dovere di iniziare il lavoro tanto nei gruppi sul posto di lavoro o di quartiere quanto nella guerriglia urbana”. Furono immediatamente pubblicati una serie di contributi internazionali sulla lotta armata, tutti con il motto “costruire l’armata rossa” lanciato in precedenza dai maoisti di movimento. Il motto fu violentemente questionato sia tra i lettori sia tra i compagni della redazione precedente, ma ciò oramai non contava più. I Ribelli Comunisti pubblicarono complessivamente tre numeri, fin quando alcuni di loro, all’inizio dell’agosto 1970, non finirono in prigione (cfr. il contributo “Chi conosce la gattabuia maledice l’establishment” di Markus Mohr in questo libro).
Il volantino “L’883 brucia e voi dormite” incitò, in seguito a ciò, alla formazione di una nuova redazione. E mentre gli autori sulla prima pagina si credevano già nella guerra del popolo: “La borghesia può conservare il suo dominio solo grazie alle granate a mano degli sbirri”, un gruppo fondatore dell’Agit 883 si chiedeva sull’altro lato: “Da quando Berlino è la capitale del Brasile?” e criticava la redazione dei Ribelli Comunisti a causa del loro “falso giudizio sulla situazione politica” e delle retoriche prive di contenuto (Volantino “L’883 brucia e voi dormite”, fine agosto 1970). Anche il numero successivo della rivista, che si firmava come “nuova 883”, conteneva critiche alla politica redazionale dei Ribelli Comunisti, fondata tra l’altro, nelle “questioni massicce d’internazionalismo a malapena spiegate” (66, 9 v. sett. 1970). Allo stesso tempo, un nuovo articolo sulla Gauche Proletarienne cominciava così: “L’883 ha riportato più volte negli ultimi numeri articoli sulla Sinistra Proletaria [...].
Tali articoli sono necessari per apprendere le forme internazionali della lotta di classe per la nostra lotta qui” (66,9 v. sett. 1970).
I maoisti di movimento persero qualsiasi leadership nelle ultime fasi dell’Agit 883. Nonostante ciò il diretto riferimento a Mao sparì solo con lo stabilirsi della redazione anarchica. A quel punto la critica alla politica estera della Cina poté proseguire libera da ogni considerazione (cfr. 85,1 v. 15/11/71).
Che resta?
Quasi in tutta la storia dell’Agit 883, la gamma degli accenni politici e pratici nel campo dell’Internazionalismo furono più ampi rispetto a quelli sui temi della Germania Federale. Ciò potrebbe essere anche ora un esempio per l’internazionalismo: Cercare la connessione con la situazione in Germania e gli interessi collegati senza però confondere potenze sub imperiali con potenze imperiali. Alcuni di questi dibattiti non hanno perso fino ad oggi la loro attualità, come ad esempio le iniziative per una solidarietà pratica inter- o per meglio dire transnazionale partendo dalle proprie lotte.
Bibliografia:
Dario Azzellini: Genua, Italien. Genua. Geschichte, Perspektiven, Berlin 2002
Primo Moroni / Nanni Balestrini: Die goldene Horde, Berlin 1994
Karl Dietrich Wolf (Hg.): Tricontinental 1967-1970 / Eine Auswahl, Frankfurt 1970
Steve Wright, Den Himmel stürmen. Eine Theoriegeschichte des Operaismus, Berlin 2005
Emile Marenssin / Peter-P. Zahl: Stadtguerilla und Soziale Revolution. Die 'Baader-Meinhof-Bande' oder revolutionäre Gewalt, Haarlem 1977
Alex Schubert: Stadtguerilla - Tupamaros in Uruguay - Rote Armee Fraktion in der Bundesrepublik, Berlin 1971
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